Udienza preliminare

Fallimento Samar da 150 milioni di euro: i vertici aziendali rinviati a giudizio

Imputati proprietari, amministratori, consulenti, commercialisti e avvocati: tutti verso il processo.

Fallimento Samar da 150 milioni di euro: i vertici aziendali rinviati a giudizio
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Si è chiusa con il rinvio a giudizio dei principali imputati l’udienza preliminare con una ventina di coinvolti tra proprietari, amministratori, consulenti, commercialisti e avvocati, scaturita in seguito alle indagini della Guardia di finanza per il fallimento da oltre 150 milioni di euro della Samar srl. L’azienda di Mottalciata specializzata nella produzione di abbigliamento e corsetteria, dopo una felice storia di crescita sino al 2008, l’anno dopo era entrata in pesante crisi di liquidità e, nel febbraio dell’anno successivo, aveva proceduto ad avviare la liquidazione volontaria con richiesta di concordato preventivo, in realtà mai aperto, che era invece sfociato nel fallimento.

Rinviati a giudizio

L’accusa per i principali imputati è di bancarotta fraudolenta. Mercoledì pomeriggio, al termine dell’ennesima udienza, sono stati rinviati a giudizio proprietari e amministratori quali Paolo, Cesare e Nicola Sappino, nonché Michele e Andrea Crestani.

Indagini difficili

Ci sono voluti anni per scremare l’elenco dei possibili accusati e soprattutto per districarsi in un mare di marchi e loghi, a volte creati soltanto per spostare la merce, i capi d’abbigliamento, che la ditta produceva e commercializzava da una società all’altra, molte delle quali che però facevano riferimento sempre agli stessi nomi, quelli degli effettivi proprietari.
Nel frattempo anche la sede dell’azienda un paio d’anni fa è stata venduta dal curatore Paolo Garbaccio, per arginare almeno in parte i debiti rimasti inevasi, soprattutto nei confronti di piccoli fornitori e dipendenti che, secondo quanto comunicato al termine delle indagini dalla Guardia di finanza, erano stati danneggiati «dalle condotte di imprenditori senza scrupoli».

Le pesanti accuse

Secondo l’accusa, i soci dell’azienda, insieme a tutta una serie di amministratori, consulenti o curatori, avrebbero contribuito a vario titolo a falsificare le scritture contabili, i bilanci, le risultanze delle assemblee dei soci e i collegi dei liquidatori, riuscendo tra le altre cose a far sparire dal patrimonio sociale qualcosa come 700 mila capi di abbigliamento, per un valore superiore agli 11 milioni di euro, sopravvalutando le giacenze di magazzino, vendendo poi merce per quasi 28 milioni a un’altra società, la Ced, sempre controllata da loro, che si trovava già in stato di insolvenza e per aver quando già le difficoltà erano evidenti, investito in un’operazione definita «rischiosa», quella per l’acquisto del marchio «Fake London».

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