L'OMAGGIO

"Cara Afra, la prima domenica di settembre, andando al Noveis, ti saluterò a voce alta"

Proponiamo qui il toccante saluto di Luciano Guala dell'Anpi Comitato provinciale Biella ad Afra Nogara Gila, donna mito della Resistenza biellese mancata in questi giorni all'età di 95 anni. 

"Cara Afra, la prima domenica di settembre, andando al Noveis, ti saluterò a voce alta"
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Proponiamo qui il toccante saluto di Luciano Guala dell'Anpi Comitato provinciale Biella ad Afra Nogara Gila, donna mito della Resistenza biellese mancata in questi giorni all'età di 95 anni. Ieri, venerdì, si è svolto l'ultimo saluto.

La lettera

Buongiorno a tutti e tutte, ho l’onore di portare i saluti e soprattutto il ringraziamento dell’ANPI provinciale biellese alla nostra cara Afra, cui mi lega un’antica frequentazione, tanta stima e grande rispetto, ed un abbraccio alle figlie Rosalba e Laura ed alle loro famiglie, intorno a cui ci stringiamo.

Sono qui anche per un altro motivo, Afra: ogni volta che, fino a due anni fa, al telefono ti chiedevo come stavi, mi rispondevi immancabilmente che ti sentivi già vicina” a porta inferi”. Credo che usassi apposta quella frase in latino di chiesa per mettere fuori discussione ogni mio tentativo di minimizzare i tuoi malanni. E poi non mi chiedevi, ma mi imponevi, di venire a farti l’ultimo discorso di addio. Io facevo finta di non sentire, cercavo di tranquillizzarti, ma come vedi sono qui a salutarti, anche se mi pesa moltissimo e mi sono dovuto scrivere le parole per non confondermi troppo.

Avevi 16 anni quando la guerra entrò nella tua vita ed in quella di milioni di Italiani, valle per valle, paese per paese, casa per casa, e ti aveva già portato via il fratello Antonio, disperso sul Don in Russia. La Resistenza è stata definita lotta di liberazione, guerra civile ed anche lotta di classe. E’ stata una lotta per riportare la dignità al centro della vita di un paese soffocato da venti anni di regime fascista e svenduto agli occupanti nazisti dopo l’8 settembre. E’ stata una lotta per ridare significato all’ideale dell’umanità, calpestata per troppo tempo e di cui si veniva indotti a dubitare, presi dal mito del superuomo e delle logiche di morte che contraddistinguevano i simboli fascisti: le camicie nere, i teschi, e via delirando.
Quell’umanità di cui c’era tanto bisogno spesso passava proprio dalle mani disarmate delle donne che fornivano cibo, vestiario, rifugi ai Partigiani. Vicino alla tua casa attuale c’era il Comando della 109sima Brigata Garibaldi, ricordavi episodi e nomi che sono la Storia viva di questa parte di mondo fra Biellese e Valsesia. Voglio solo citare l’episodio in cui oltre ad accogliere i partigiani tu andasti alla frazione Calvino di Strona a raccogliere letteralmente i corpi dei Partigiani “Tripoli” e “Totò” caduti in combattimento, ed aiutasti il Parroco del paese a portarli al cimitero su un carretto. Un apparente piccolo gesto di grande valore civile che comportava comunque forti rischi di rappresaglia, uno dei tanti gesti che davano linfa alla speranza, rinsecchita dalla mancanza di libertà e dal terrore. Mi ha sempre fatto riflettere il fatto che l’arco di tempo di venti mesi, quanto è durata la Resistenza, abbia lasciato tracce così profonde, e che si siano impresse nelle carni e nel cervello di chi ha vissuto quel lungo inverno immerso nella tragedia collettiva; tracce incancellate per tutta la vita per quanto lunga possa essere stata, come la tua.

E poi ci ricordavi del tuo Pensiero, Partigiano “Polacco”, con cui hai diviso la vita. Tu hai conservato la sua divisa, le sue medaglie, i suoi documenti, ma soprattutto hai conservato e tramandato il senso della sua lotta, quello in cui credevate insieme, e questa tua coerenza è una virtù che noi apprezziamo molto, anche se c’è la tendenza a non considerarla una virtù. Lo apprezziamo specialmente in questa stagione in cui noi, vostri eredi, abbiamo dilapidato un ingente patrimonio di ideali, di militanza politica, sindacale e civile, e siamo costretti a navigare a vista in questa società liquida, come ci dicono i Sociologi, senza bussola o punti di riferimento solidi.

Questi sono solo alcuni lampi che illuminano il tuo percorso di vita a cui voglio aggiungere la data del 28 aprile 2016. Quel giorno a Biella venne conferita la Medaglia della Liberazione, e tu ti facesti accompagnare a ritirarla senza avvertire le figlie che vivono fuori Biellese. Forse per ritrosia, perché non volevi apparire in quella sala piena di persone, o forse perché ritenevi che il tuo contributo alla Resistenza fosse stato un fatto normale, non meritevole di ricompensa. Fu difficile perfino a tua figlia Laura, arrivata a tua insaputa, riuscire a fotografarti nell’atto in cui ti veniva consegnata l’onorificenza. Quando diciamo che alcune persone sono state straordinarie pensiamo a episodi come questo, che tratteggiano figure che hanno interpretato sentimenti quali la compassione, la mitezza e la solidarietà, che dovrebbero essere sentimenti ordinari in una società civile, in un modo straordinario. E quando noi diamo il giusto peso a questi loro comportamenti, nella loro modestia si stupiscono, quasi non rendendosi conto del valore dei loro gesti.

Mi avvio alla conclusione Afra e voglio dirti ancora due cose: la prima è che non so dove tu sia andata. Sono però sicurissimo che non hai attraversato quella “porta inferi” che citavi sempre, ammesso che ci sia. Ti assicuro che il tuo spirito e la tua memoria attraverseranno le porte, quelle si strettissime, per entrare in quell’intimo spazio che abbiamo in testa o nel cuore (non so bene dove si trovi), in cui risiedono gli affetti. Uno spazio che è sempre più affollato da chi ci ha voluto bene, a cui abbiamo voluto bene, persone che sono ancora con noi o che non ci sono più. Uno spazio che conserviamo con cura perché è l’unica nostra ricchezza, perché contiene questi frammenti di infinito, che per loro natura nemmeno la morte potrà portare via.
La seconda ed ultima cosa che voglio dirti è questa: quando ogni anno, alla prima domenica di settembre, andremo come sempre al Noveis, passando dal bivio per Gila ti saluterò a voce alta (e chi è con me in macchina mi prenderà per matto), e ti chiederò: Ciao Afra, noi andiamo su, tu dove sei?

So che non mi risponderai, ma sono certo che mi avrai sentito, e che sarai ancora da queste parti della Valsessera, e che non sarai sola.
E, soprattutto, che io, che noi, non saremo soli.
Anche se così ci sentiamo in giorni come questo.
Ciao Afra, e grazie di tutto.

Portula, 17 giugno 2022

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