Botte tra le mura di casa
Mogli e figli picchiati, fatti vivere in condizioni di vita pessime, di disagio, di paura se non di vero terrore. A volte per anni prima che le vittime trovino il coraggio di denunciare i loro aguzzini e di rifarsi una vita. Non passa giorno che nell’aula del Tribunale non sfoci un caso simile. Quello di violenza in famiglia è uno dei reati più in voga in provincia se si considera che la Procura, negli ultimi due anni e mezzo, si è occupata di circa 220 casi.
Nei due procedimenti di cui si è occupata la scorsa settimana il giudice dell’udienza preliminare, Paola Rava, un imputato è stato rinviato a giudizio per l’udienza del 17 settembre 2014, l’altro è stato condannato a otto mesi di reclusione con la condizionale. In entrambi i casi ci sono dei bambini di mezzo. Ecco perché non riporteremo i nomi degli imputati.
Il primo caso vede accusato un uomo di 32 anni (difeso dall’avvocato Marco Romanello) che ne ha fatte passare di tutti i colori alla donna con la quale ha iniziato una relazione ad agosto del 2009 e dalla quale ha avuto una bambina. Secondo il capo d’imputazione, la donna è stata più volte picchiata a calci e pugni, sottoposta a vessazioni e umiliazioni di ogni genere. Le prognosi che ogni volta i medici del Pronto soccorso le hanno prescritto fanno venire i brividi: due volte 15 giorni e due volte venti giorni di guarigione, senza contare gli innumerevoli 5-6 giorni. Una vita d’inferno per la donna, che avrebbe tra l’altro ricevuto in svariate occasioni anche minacce di morte e insulti tra i più pesanti.
Nel secondo caso era imputato un insospettabile padre di famiglia di 49 anni di Biella (difeso dall’avvocato Giorgio Triban). Anche in questo caso l’accusa era di violenza in famiglia continuata nei confronti della moglie e dei figli. Per la Procura, i maltrattamenti nei confronti dei bambini erano di tipo psicologico consistiti nel farli assistere alle vessazioni inflitte alla madre, sia facendoli vivere in un clima di costante e perdurante apprensione nel timore di venire aggrediti in modo verbale, venire mortificati e anche insultati. In questo caso i maltrattamenti sarebbero durati una vita, addirittura dal 1998 al 30 dicembre 2010 quando - stufa della terribile situazione in cui era stata per anni costretta a vivere - la donna si era decisa a denunciare il marito e a separarsi nonostante le botte e le minacce.
In entrambi i casi, lascia sconcertati ulteriormente il fatto che i due imputati avrebbero picchiato le loro consorti a pugni e a calci in pancia, anche nel periodo in cui le due donne si trovavano in stato di gravidanza.
Valter Caneparo