Assolto per la droga sul balcone

Assolto per la droga sul balcone
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BIELLA - C’era solo una fotocopia di una fotografia, peraltro in bianco e nero, a provare che il giorno della perquisizione dei carabinieri a casa dell’imputato, Marco S., 39 anni, di Cavaglià, fossero stati trovati sul balcone (peraltro ben visibili dalla strada) quattro vasi contenenti altrettante piante di marijuana, di quasi un metro d’altezza, che avevano fatto scattare l’accusa di coltivazione illegale di droga. L’assoluzione è così arrivata, piena, richiesta sia dalla difesa (l’avvocato Massimo Pozzo) sia dall’accusa (la piemme onoraria Laura Bellini).

A confermare che quelle piantine fossero proprio di cannabis, c’erano solo il verbale dei carabinieri e quella fotocopia di una foto scattata il giorno della perquisizione, il 26 agosto 2011. Mancava uno straccio di consulenza (come di norma avviene), neppure era stato stabilito il grado di principio attivo presente in quelle piante come prescrive la normativa in materia (il famoso Dpr 309 del 1990). E neppure - come ha evidenziato l’avvocato Pozzo - era stato stabilito chi abitasse oltre all’imputato in quella casa: essere proprietari non implica in automatico la responsabilità penale di tutti i reati che eventualmente vengono commessi in quei locali.

Un giudice preparato ed esperto come Paola Rava non ha dovuto prendersi troppo tempo per decidere: ha dichiarato chiuso il dibattimento ed è entrata in camera di consiglio alle 9 e 46 di giovedì mattina, è tornata in aula alle 9 e 54 con la sentenza: «Imputato assolto perché il fatto non sussiste».

Stupisce che tale procedimento si sia trascinato sino al dibattimento dopo che, nel 2013, era già transitato sotto la lente d’ingrandimento del gip. Quel giorno, il difensore, aveva chiesto che venisse emessa sentenza di non doversi procedere. Era stato invece disposto il rinvio a giudizio. Si è scoperto tre anni più tardi che, in realtà, erano quantomeno carenti gli elementi probatori necessari per proseguire in giudizio.

Valter Caneparo

BIELLA - C’era solo una fotocopia di una fotografia, peraltro in bianco e nero, a provare che il giorno della perquisizione dei carabinieri a casa dell’imputato, Marco S., 39 anni, di Cavaglià, fossero stati trovati sul balcone (peraltro ben visibili dalla strada) quattro vasi contenenti altrettante piante di marijuana, di quasi un metro d’altezza, che avevano fatto scattare l’accusa di coltivazione illegale di droga. L’assoluzione è così arrivata, piena, richiesta sia dalla difesa (l’avvocato Massimo Pozzo) sia dall’accusa (la piemme onoraria Laura Bellini).

A confermare che quelle piantine fossero proprio di cannabis, c’erano solo il verbale dei carabinieri e quella fotocopia di una foto scattata il giorno della perquisizione, il 26 agosto 2011. Mancava uno straccio di consulenza (come di norma avviene), neppure era stato stabilito il grado di principio attivo presente in quelle piante come prescrive la normativa in materia (il famoso Dpr 309 del 1990). E neppure - come ha evidenziato l’avvocato Pozzo - era stato stabilito chi abitasse oltre all’imputato in quella casa: essere proprietari non implica in automatico la responsabilità penale di tutti i reati che eventualmente vengono commessi in quei locali.

Un giudice preparato ed esperto come Paola Rava non ha dovuto prendersi troppo tempo per decidere: ha dichiarato chiuso il dibattimento ed è entrata in camera di consiglio alle 9 e 46 di giovedì mattina, è tornata in aula alle 9 e 54 con la sentenza: «Imputato assolto perché il fatto non sussiste».

Stupisce che tale procedimento si sia trascinato sino al dibattimento dopo che, nel 2013, era già transitato sotto la lente d’ingrandimento del gip. Quel giorno, il difensore, aveva chiesto che venisse emessa sentenza di non doversi procedere. Era stato invece disposto il rinvio a giudizio. Si è scoperto tre anni più tardi che, in realtà, erano quantomeno carenti gli elementi probatori necessari per proseguire in giudizio.

Valter Caneparo

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