Accoltellò la moglie, l’ha fatta finita

Accoltellò la moglie, l’ha fatta finita
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CAVAGLIÀ - La morte dell’imputato, del presunto colpevole di botte, anni d’inferno con continui maltrattamenti e insulti, sfociati due anni e mezzo fa in un’aggressione, con il marito che aveva accoltellato per tre volte la moglie la quale, stufa di quella situazione, lo aveva denunciato e se ne voleva andare di casa, ha messo per sempre la parola fine a un fatto di cronaca che aveva lasciato tutti sgomenti. Non si sarebbe più saputo nulla della storia del tecnico informatico di Cavaglià che, il 7 settembre 2014, aveva accoltellato la moglie nella loro villetta, se non fosse stato per una sentenza emessa in tribunale a Biella, con il giudice che ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Massimo Del Bene, 43 anni, “per estinzione del reato a seguito di morte del reo”.

Nessuno aveva più saputo nulla dell’imputato, le fonti ufficiali avevano tenuto tutto segreto, quando, il 12 maggio scorso, nel canale Depretis, sulla griglia della centrale idroelettrica “Restituzione”, in territorio di Tronzano Vercellese, era stato trovato proprio il cadavere del tecnico informatico di Cavaglià. Era stato l’addetto alla pulizia della griglia a ripescare il corpo con la “benna polipo” utilizzata per recuperare rami e residui vegetali. L’uomo era scomparso due giorni prima dall’abitazione dei parenti. Era depresso, tante volte in passato aveva promesso che l’avrebbe fatta finita. Quel giorno aveva mantenuto quei tragici propositi.

Nell’ultimo processo che lo riguardava, Del Bene era accusato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della moglie alla quale - stando alle accuse - ne avrebbe fatte passare di tutti i colori rendendo la sua vita impossibile. Per l’accoltellamento, invece, l’uomo era stato condannato a tre anni e otto mesi di reclusione. Una pena tutto sommato contenuta rispetto alla pesante accusa di tentato omicidio. La moglie, colpita con le coltellate al petto, alla schiena e alla testa, era rimasta in ospedale quasi quattro mesi prima di riuscire a riprendersi e tentare di rifarsi una vita nonostante gli squarci cuciti nella pelle e quelli, ben più profondi e difficili da rimarginare, nell’anima.

Lei, quel mattino, prima dello spuntar del sole, era uscita di casa con la camicia da notte, sanguinante e con una mano premuta sul petto e si era rifugiata dai vicini dopo essersi attaccata al campanello pur di farsi aprire. «Aiuto, mio marito mi ha accoltellato», urlava. Per poi ripetere più volte, mentre era in attesa dell’arrivo dell’ambulanza e dei carabinieri: «Sette anni d’inferno...». E lo aveva ribadito anche nelle settimane successive, le poche volte che era riuscita ad acquisire lucidità: «Sette anni d’inferno».

Dopo quel processo, con la donna e il suo avvocato (Alessandra Pizzarelli) che erano rimasti sorpresi dalla condanna mite, il giudice aveva concesso all’imputato gli arresti domiciliari a casa di parenti a Borgo D’Ale. Poco più di un mese dopo, Massimo Del Bene era uscito di casa e l’aveva fatta finita, scrivendo il finale più tragico per una triste storia.

Valter Caneparo

CAVAGLIÀ - La morte dell’imputato, del presunto colpevole di botte, anni d’inferno con continui maltrattamenti e insulti, sfociati due anni e mezzo fa in un’aggressione, con il marito che aveva accoltellato per tre volte la moglie la quale, stufa di quella situazione, lo aveva denunciato e se ne voleva andare di casa, ha messo per sempre la parola fine a un fatto di cronaca che aveva lasciato tutti sgomenti. Non si sarebbe più saputo nulla della storia del tecnico informatico di Cavaglià che, il 7 settembre 2014, aveva accoltellato la moglie nella loro villetta, se non fosse stato per una sentenza emessa in tribunale a Biella, con il giudice che ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Massimo Del Bene, 43 anni, “per estinzione del reato a seguito di morte del reo”.

Nessuno aveva più saputo nulla dell’imputato, le fonti ufficiali avevano tenuto tutto segreto, quando, il 12 maggio scorso, nel canale Depretis, sulla griglia della centrale idroelettrica “Restituzione”, in territorio di Tronzano Vercellese, era stato trovato proprio il cadavere del tecnico informatico di Cavaglià. Era stato l’addetto alla pulizia della griglia a ripescare il corpo con la “benna polipo” utilizzata per recuperare rami e residui vegetali. L’uomo era scomparso due giorni prima dall’abitazione dei parenti. Era depresso, tante volte in passato aveva promesso che l’avrebbe fatta finita. Quel giorno aveva mantenuto quei tragici propositi.

Nell’ultimo processo che lo riguardava, Del Bene era accusato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della moglie alla quale - stando alle accuse - ne avrebbe fatte passare di tutti i colori rendendo la sua vita impossibile. Per l’accoltellamento, invece, l’uomo era stato condannato a tre anni e otto mesi di reclusione. Una pena tutto sommato contenuta rispetto alla pesante accusa di tentato omicidio. La moglie, colpita con le coltellate al petto, alla schiena e alla testa, era rimasta in ospedale quasi quattro mesi prima di riuscire a riprendersi e tentare di rifarsi una vita nonostante gli squarci cuciti nella pelle e quelli, ben più profondi e difficili da rimarginare, nell’anima.

Lei, quel mattino, prima dello spuntar del sole, era uscita di casa con la camicia da notte, sanguinante e con una mano premuta sul petto e si era rifugiata dai vicini dopo essersi attaccata al campanello pur di farsi aprire. «Aiuto, mio marito mi ha accoltellato», urlava. Per poi ripetere più volte, mentre era in attesa dell’arrivo dell’ambulanza e dei carabinieri: «Sette anni d’inferno...». E lo aveva ribadito anche nelle settimane successive, le poche volte che era riuscita ad acquisire lucidità: «Sette anni d’inferno».

Dopo quel processo, con la donna e il suo avvocato (Alessandra Pizzarelli) che erano rimasti sorpresi dalla condanna mite, il giudice aveva concesso all’imputato gli arresti domiciliari a casa di parenti a Borgo D’Ale. Poco più di un mese dopo, Massimo Del Bene era uscito di casa e l’aveva fatta finita, scrivendo il finale più tragico per una triste storia.

Valter Caneparo

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