Tullio Poduje di Sordevolo, l’ultimo istriano
Intervista postuma al profugo.
Solo due lacrime avevano, una per ocio. Le altre andavano ricacciate in gola, senza voltarsi, perché quella gente infagottata che arrivava a Trieste, la prima cosa che faceva non era piangere, ma era respirare profondamente, assaporando l’odore della stazione o del porto e, in quell’odore di rifiuti, di pesca, di salsedine non avvertiva il tanfo del ristagno e dell’umanità scarmigliata. In quegli odori forti, loro, gli istriani, avvertivano invece il profumo della libertà.
L’ultimo istriano
Avevano volti antichi, segnati dal vento freddo e dal dolore. Venivano da Peroj, da Fasana, da Dignano, da Banjole, da Pola: le valigie pesanti del Dopoguerra e solo due lacrime avevano, una per ocio. Ma voltarsi no; voltarsi verso l’Adriatico sarebbe stato indulgere a un dolore immenso.
Tullio Poduje
Era troppo piccolo, Tullio Poduje, per capire tutto di quella tragedia che faceva di sua madre, di suo padre e degli zii dei déracinés, persone strappate alle loro radici e diventate, improvvisamente, fascisti da eliminare per Tito e persone invise ai comunisti italiani che non capivano come si potesse abbandonare il sole dell’avvenire socialista dove garriva la bandiera rossa.
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