Sandigliano: Alberto Petiva, 30 anni di estro
Dalla sua officina d’arte le opere hanno viaggiato fino agli Stati Uniti. Da elettricista ad artista: così evolve una carriera.
Dalla sua officina d’arte le opere hanno viaggiato fino agli Stati Uniti. Da elettricista ad artista: così evolve una carriera.
La storia
Alberto Petiva, classe 1954, nasce a Pollone, trascorre la sua vita - tuttora - a Sandigliano e negli anni ha preso tante strade differenti: la passione per l’arte non nasce dallo studio, bensì dalla fusione tra manualità, lavoro, curiosità e un occhio attento sulla quotidianità. Dal 1993 ad oggi ha costruito circa 250 opere che hanno viaggiato per l’Italia e non solo.
Dopo aver provato diversi lavori, trova la sua stabilità nella ditta De Martini come elettricista. Col passare del tempo inizia ad aiutare anche il meccanico della fabbrica, imparando così qualche nozione di saldatura. «Ho iniziato a cimentarmi nell’artigianato nel 1993: avevo appena divorziato e avevo bisogno di qualche scaffale per la casa, così li ho fabbricati io stesso; poco dopo ho cominciato ad osservare i bulloni in officina e ho notato come, aggiungendo qualche vite e saldando assieme questa ferraglia, essa diventava viva, raccontava una storia». Così si racconta l’artista ricordando gli inizi della carriera. Questa scoperta dà la spinta ad Alberto per creare tante storie, grandi e piccole, tramite materiali poveri o di scarto. La prima opera, che venderà poi negli Stati Uniti, nasce proprio dal suo paese. Una domenica pomeriggio del 1993 la banda di Sandigliano sta suonando di fronte alla chiesa e lui, nell’osservare quella scena, ha l’ispirazione: prende in mano un taccuino, disegna gli strumenti e, una volta tornato a casa, inizia a ricreare la scena.
«Nel momento in cui ho capito che bastava inclinare di 45 gradi le viti, sono riuscito finalmente a dare vita a quei bulloni», queste le parole di Alberto, mentre racconta come, dopo la prima opera, ha sbloccato la sua creatività facendo nascere storie di bulloni, viti, pietra e marmo.
Dopo aver creato quasi cento opere, inizia a girare mercatini dell’artigianato in Italia, dal Friuli fino a Roma, passando ben 13 anni ai mercatini di Natale di Bolzano. Da quel fatidico 1993 fino al 2020 l’artista non solo girerà per l’Italia, ma lavorerà nella sua officina per creare grandi e piccole opere d’arte su commissione.
Cambio di rotta nel 2020
L’arrivo del Covid-19 ha stravolto la vita a quasi tutti gli italiani. Nel caso di Alberto Petiva, l’impossibilità di muoversi e frequentare i mercatini - sospesi o ridotti per molto tempo - non gli ha più permesso di sostenere l’officina dell’arte, portandolo a decidere di chiudere l’attività. Quelle duecentocinquanta opere erano però lì, ferme in un magazzino. Lui stesso ammette: «Non potevo non pensare a cosa sarebbe stato della mia arte dopo di me, pensavo che la mia vita quell’anno fosse finita, invece ho conosciuto Alessandro Argentero che mi ha introdotto alla realtà di Gattopoli e mi ha aiutato, e continua a farlo, a non perdere nel passato la mia arte».
Il gesto del dono
Grazie anche all’appoggio di Alessandro, Alberto cambia filosofia di vita e sceglie di donare le sue opere a diverse realtà: la prima è stata proprio Gattopoli, a cui ne ha donate diverse; la donazione più recente è stata fatta alla Biblioteca civica di Mongrando lo scorso 20 novembre.
L’opera donata si intitola “Dimensione e realtà” e ritrae una coppia di lettori fatti di bulloni che siedono sotto ad un albero in marmo, dietro al quale troviamo una mezza luna di pietra: ciò rappresenta il viaggio dei lettori che si distaccano dalla realtà per vivere ciò che stanno leggendo. L’intera amministrazione - e in particolare il sindaco Antonio Filoni e la responsabile del servizio bibliotecario Stephanie Di Giusto - è stata entusiasta nell’accettare il dono. Questi sono solo due esempi di ciò che Alberto Petiva vuole intraprendere: l’artista non cerca ricchezza, lui stesso ha affermato: «Sono ricco nella mia povertà, voglio donare la mia creatività agli altri e mi batterò affinché questo diventi realtà».
Elena De Toffoli