"Giulia potevo essere io". Il racconto: "Eravamo amici, ma dopo la festa"
La storia agghiacciante di Cleo, 22 anni: "Mi bloccò per i polsi e con l’altra mano cominciò a toccarsi. Corsi via e scoppiai in lacrime"
Di seguito la testimonianza di Cleo, 22 anni, che ha voluto raccontare la sua esperienza di violenza a Eco di Biella ("Giulia potevo essere io", 5 storie di giovani ragazze sono uscite sul numero di lunedì 5 dicembre) per dare voce a chi voce non ne ha più.
La storia di violenza di Cleo
La storia di Cleo parte da quando aveva 17 anni, su un pullman che la portava da casa a scuola ogni giorno: "Facevo le superiori. Avevo un migliore amico, lo stesso da quando facevamo le elementari, siamo sempre stati amici, sempre stati insieme e avevamo la stessa compagnia, quindi usciamo sempre insieme. Io mi fidavo di lui, semplicemente come di un fratellino. Durante tutte le superiori ci siamo sempre visti, magari anche solo sul pullman, insieme a tutti gli altri. Ma a me lui riservava più attenzioni: non mi parlava, ma io mi sedevo sul pullman e lui si sedeva vicino a me e mi metteva una mano sulla coscia, però io non lo accettavo, perché era fidanzato.
Verso la terza superiore questi atteggiamenti si fanno più insistenti, al che gli ho scritto dicendogli di smetterla e che non erano attenzioni piacevoli o lusinghiere. La sua risposta fu: “ma tanto so che piacciono anche te”... così per tutte le nostre conversazioni successive".
Dopo i primi avvertimenti Cleo chiede di vedersi di persona per chiudere la situazione definitivamente. All’incontro lui si scusa, si mette a piangere e supplicare, ma non appena lei abbassa la guardia lui allunga di nuovo le mani, la tocca; da lì in avanti non uscirono mai più da soli. "Ci siamo ritrovati per una festa dei coscritti, tra il quarto e il quinto anno di superiori: mia mamma e sua mamma erano molto amiche e io aiutavo spesso suo fratello con lo studio. Continuavo quindi a uscirci o a vederlo, perché io mi fidavo di lui, ma l’episodio che ha sancito la fine dei miei rapporti con lui è successa proprio a quella festa dei coscritti".
"Finita la serata - ricorda Cleo - dovevo aspettare i miei davanti alla chiesa del paese. A un certo punto vedo arrivare lui: si mette seduto davanti a me e comincia a parlarmi normalmente, ma poi inizia a parlare di “tutto quello che c’era stato tra noi”, che non c’è mai stato, e io lo fermo dicendogli che se non ho mai fatto scenate e sono sempre stata zitta è stato solo perché tenevo alla nostra amicizia e alla nostra compagnia di amici. Lui allora comincia a scusarsi e giustificarsi con frasi estremamente dolci per rassicurarmi, ma dopo poco smette di parlare e mi blocca le mani dietro la schiena. Io ho provato a divincolarmi ma non ci sono riuscita, ho iniziato a supplicarlo: “lasciami, lasciami, mi fai male” ma nulla. Anzi, inizia a spogliarsi e tenta di spogliare anche me, inizia a masturbarsi e mi avvicina a lui... per “aiutarlo”. Una volta concluso stava per toccare me, ma finalmente mi vibra il telefono e mi lascia per farmi rispondere. Erano i miei genitori, che mi attendevano poco più in là. Sono corsa in macchina e ho cominciato a piangere, avevo tutti i polsi rossi e la maglia completamente macchiata di bianco. Non ero convinta di parlarne alla mia famiglia, non volevo rovinare l’amicizia tra le nostre mamme e nemmeno quella tra lui e mio fratello, ma ho preso coraggio e ho raccontato tutto".
Dopo questo evento traumatico le strade delle due famiglie si sono divise, ma Cleo non ha mai denunciato: "Ci ho pensato, però, essendo stato il mio migliore amico e provando molto affetto per sua mamma, non volevo far soffrire lei, è il suo bambino. Un’altra cosa che mi ha scoraggiato è stato pensare che sarebbe stata la mia parola contro la sua e, senza prove, non volevo rischiare di essere umiliata o non creduta. Pensa, ho ancora adesso difficoltà a fidarmi dei ragazzi e a rimanere sola con loro. Continuo a pensare che, se il mio migliore amico non ha voluto ascoltarmi, come posso fidarmi di altri?".
Elena De Toffoli