Simona, precaria di lusso
Simona è una precaria. Forse un po’ di lusso, anche se a lei questa etichetta non piace. «Lusso è fare poco e guadagnare tanto. Viaggiare tutta la settimana da Biella a Torino, visto che mi sono aggiudicata una borsa di studio in ospedale e fare la guardia medica nei weekend, non mi pare proprio un gran lusso...». A questo punto sorride, un po’ compiaciuta. Perché è dura l’esistenza in Italia per chi vuole sognare, in grande. E magari puntare al mestiere che ama, oltre a guadagnarsi uno stipendio per essere indipendente prima e poi tirare su una famiglia. Una storia esemplare, insomma, quella della dottoressa Simona Carnio (foto), 34 anni, di Cerrione, specializzata in oncologia, una vita di studi e di ricerche. Da nove anni è uno dei punti di riferimento della struttura del Villaggio Lamarmora.
La mia vita. «Da troppo tempo sono qui - racconta -. All’inizio facevo anche 13 o 14 turni al mese, perché così accumulavo un po’ di soldi. E poi, si sa, i primi stipendi ti riempiono di entusiasmo dopo un lungo periodo di studio. Oggi fatico. Perché voglio fare solo l’oncologa e, nonostante tutti questi anni siano stati ricchi sia professionalmente sia umanamente, sento il peso di non avere ancora una stabilità. Nulla di grave, se penso ai sacrifici miei e dei miei genitori. Ma certo il nostro non è davvero un Paese per i giovani. Andare via? Ci ho pensato. In Svizzera hanno sempre bisogno di oncologici, e sinceramente sono anche ben gratificati, ma per ora voglio restare qui. Amo l’Italia e il Biellese, non scappare. Per avere un lavoro sicuro aspetto un concorso che, ahimè, si fa attendere da troppo tempo, ma sono fiduciosa».
La donna. Simona ha orecchini e anelli un po’ alternativi, stivali di pelle, capelli corti, nerissimi, un modo di fare ammiccante e pulito allo stesso tempo, che dà l’idea di una persona dolce, positiva, di cui ci si può fidare. Ama cani e gatti. Dice diverse parolacce, che però non la fanno diventare mai volgare. «Non lo scriva, mi raccomando…» prova a chiedere, senza insistere.
Meritocrazia? «Sono figlia di un imbianchino e di un’operaia, che mi hanno fatto studiare a prezzo di grandi sacrifici. Figuriamoci se ho paura del futuro. Da quando, giovanissima, decisi di fare il medico, sapevo che da “figlia di nessuno” sarebbe stata dura raggiungere certi risultati - racconta, durante un normale turno di lavoro alla Guardia medica -. Non pensavo però di incontrare tutte le baronie e i privilegi che ho riscontrato in questi anni. Ma non sono incazzata. Qui “in guardia” ci sono tanti ragazzi più arrabbiati di me. Persone splendide, con anni di studi di alto livello e curriculum invidiabili, costretti a fare questi turni per portare a casa un po’ di soldi, in attesa di sistemarsi. Il che va bene per tre, quattro o cinque anni. Oggi tutto è bloccato. E così a più di trent’anni si lavora grazie alle borse di studio e a contratti libero professionali, che non garantiscono ferie, malattie pagate o assistenza in caso di gravidanza».
Una vita... “in guardia”. «Qui siamo una famiglia - dice -. Dove certo, ci sono anche dei problemi. In tanti anni ho imparato molto. Perché con ogni paziente e con ogni collega ci si confronta: qui c’è il radiologo, il dermatologo, il pediatra oltre alle persone che hanno deciso di intraprendere la carriera dei “medici di base”. Casi critici? Qualcuno, ma nulla di drammatico, solo qualche preoccupazione, magari dovendo andare in case isolate. Per il resto tanta routine. Visitiamo persone seriamente malate e talvolta ci scontriamo con artificiose e creative simulazioni. C’è chi alza la voce e magari fa il maleducato ma anche tanti che invece ringraziano». Sorride, ancora. Sventurato il Territorio che perde persone così.