«Paga il debito». E volano botte e minacce
(4 gen) Accusati di tentata estorsione in concorso nonché di lesioni aggravate, Ciro Di Canto, 48 anni, di Pratosesia, e Mauro Beltrame, 47 anni, di Brusnengo, sono stati condannati, per il reato più grave, rispettivamente a tre anni e mezzo di reclusione più mille euro di multa e a tre anni tondi di reclusione più 500 euro di multa. A quasi dieci anni dai fatti che vengono loro contestati. Per le lesioni, il Collegio giudicante (presidente Lorenzo Fornace, a latere Andrea Antonio Salemme e Daniela Frattini), ha invece disposto il non doversi procedere in quanto il reato è ormai prescritto. Accusati di tentata estorsione in concorso nonché di lesioni aggravate, Ciro Di Canto, 48 anni, di Pratosesia, e Mauro Beltrame, 47 anni, di Brusnengo, sono stati condannati, per il reato più grave, rispettivamente a tre anni e mezzo di reclusione più mille euro di multa e a tre anni tondi di reclusione più 500 euro di multa. A quasi dieci anni dai fatti che vengono loro contestati. Per le lesioni, il Collegio giudicante (presidente Lorenzo Fornace, a latere Andrea Antonio Salemme e Daniela Frattini), ha invece disposto il non doversi procedere in quanto il reato è ormai prescritto. Le accuse, come detto, si riferiscono a fatti avvenuti quasi dieci anni fa dei quali, peraltro, se n’era già occupato lo stesso Tribunale di Biella in seduta monocratica. Il giudice aveva alla fine chiesto la modifica del capo di imputazione contestando il più grave reato di tentata estorsione. Aveva così nuovamente trasmesso il fascicolo alla Procura. Il nuovo iter processuale ha stavolta fatto sfociare il procedimento davanti al Tribunale in seduta collegiale.
Tutto ruota attorno a un prestito di poco più di 25 mila e 300 euro (49 milioni di lire) che un artigiano di Masserano aveva concesso a un vercellese di sua conoscenza, il quale, per vari motivi, non aveva provveduto a restituirlo. A seconda delle versioni che si sono fatte largo durante il dibattimento, intorno al mese di marzo del 2000, il credito era stato per così dire ceduto ai due imputati i quali avrebbero iniziato a pretenderne la restituzione dal debitore. Stando al capo d’imputazione, in un’occasione i due avrebbero fatto salire il vercellese sulla loro auto dopo averlo colpito con una serie di pugni. Lo avrebbero quindi condotto in un luogo isolato dove lo avrebbero ulteriormente picchiato a calci e pugni. Non sarebbero mancate neppure le minacce, velate, ma sin troppo chiare: «O paghi o ci rivolgiamo a tua moglie e a tua figlia per ottenere i soldi che ci devi...». Non avendo a disposizione il denaro richiesto, il debitore - spaventato - non aveva trovato altra via d’uscita che rivolgersi ai carabinieri. Era stata così preparata una trappola. L’appuntamento era stato fissato nel bar della stazione di Vercelli. Nel corso dell’incontro, il vercellese - d’accordo con i carabinieri - si era reso disponibile a consegnare almeno una parte dei soldi. Uno dei due era quindi uscito per recarsi in macchina a prendere parte delle cambiali. Proprio in quel momento erano intervenuti i carabinieri (che si erano mescolati, per non dare nell’occhio, ai clienti del bar e ai viaggiatori) e i due erano stati fermati.
Il difensore, avvocato Sergio Gronda, ha già annunciato l’intenzione di presentare appello non appena i giudici - che si sono riservati novanta giorni di tempo - depositeranno le motivazioni della sentenza in cancelleria.
4 gennaio 2010