Made in, il progetto francese da bloccare
E’ a tutti noto che anche le griffe francesi, per produrre i loro capi di abbigliamento di qualità, utilizzano i manifatturieri italiani più prestigiosi, sia nel campo dei tessuti che in quello della confezione. Ora, in campagna elettorale e con lo scopo di difendersi dalle produzioni asiatiche, cinesi in particolare, e garantire ai loro consumatori il prestigio delle loro griffe, i francesi sono decisi a richiedere l’etichettatura obbligatoria “Made in France” per questi prodotti, anche se conterranno solo il 55% di produzione francese.
Mi auguro che i nostri parlamentari europei che negli anni (ormai più di dieci) non sono riusciti ad ottenere in Europa né la legge che garantisca i consumatori europei sull’origine dei prodotti in vendita in Europa, né quella che obblighi ogni Paese europeo ad etichettare con il proprio “Made in" quanto realmente producono, compiano ora uno scatto di orgoglio e non accettino il compromesso francese.
La Francia è forte e condizionante in Europa e tenterà certamente di fare da sola, mentre noi abbiamo millantato crediti di rispetto che hanno partorito il nulla di fatto. Non gioca a favore della nostra credibilità,tra le altre cose, la memoria della scandalosa legge Reguzzoni /Versace sul tessile /abbigliamento votata dalla totalità dei parlamentari, e che fa il pari con la votazione su Ruby, nipote di Mubarak, da parte dei parlamentari che sostenevano il Governo Berlusconi.
Muoviamoci prima che sia troppo tardi, prima che al nostro scandalo, fortunatamente finora bloccato, si sostituisca quello francese!
I miei ormai decennali appelli affinché si riconosca al nostro Paese, il più prestigioso dei Paesi manifatturieri del tessile-abbigliamento in Europa e nel mondo, il diritto per legge di etichettare con il “Made in Italy” solo quei prodotti interamente realizzati in Italia e che li tuteli dalle sempre più presenti mistificazioni, sono stati nel tempo sempre vanificati dalle lobby delle caste dei poteri economici e politici, che preferiscono sguazzare nel torbido affinché si possano arricchire i furbi, anche se a scapito dei posti di lavoro in Italia. Le delocalizzazioni di parte o di tutte le lavorazioni,anche se giustificate con riduzione di costi aziendali, hanno creato perdite notevoli per il nostro Stato e milioni di disoccupati cassaintegrati o in mobilità.
Il manifatturiero del tessile-abbigliamento italiano, ricco di tradizione e cultura, è un’arte che dovrebbe essere salvaguardata.
Rompendosi, come ora più volte accade, la filiera produttiva, non si può che generare miseria. Salvaguardandola, promozionandola, assicurandola, prendendo ad esempio la legge americana sul “Made in USA”, si genererebbero valore aggiunto, incrementi alle esportazioni e quindi ripresa economica ed aumento dei posti di lavoro, anche per le nuove generazioni.
Ma purtroppo l’attuale Governo, che sino ad ora si è solo preoccupato di mostrare al mondo il suo saper impoverire gli italiani già poveri, non ha pensato a quale spinta potrebbe ricevere la nostra economia da questo settore, ora in grande crisi di identità e a rischio di sempre più grande recessione, soprattutto a causa della concorrenza sleale procurata dal “Made in Italy” taroccato.
Se non si ricorrerà subito ai ripari, i francesi faranno grande il loro “falso” “Made in France”, utilizzando il meglio delle nostre manifatture.
A noi l’amaro in bocca per non averle interamente utilizzate per la produzione del “vero” “Made in Italy”.
Luciano Barbera