L'INCIPIT DEI VOSTRI RACCONTI

L'AVVOCATO DIFENSORE
di RENATA BERTERO
segue dall'edizione di Eco di Biella in edicola oggi, sabato 1° dicembre
Era stata una porcheria, lo sapeva bene; si faceva schifo da sola, ma era stato tutto fatto nel rispetto della legge. Già, la legge. E che cosa le aveva detto il suo cliente? Che non la credeva capace di tanto! Lui?! E aveva dovuto sopportare l’ammirazione di quell’essere obbrobrioso perché era il suo avvocato, perché si era impegnata a difenderlo, perché era in gamba e ci teneva a vincere tutte le cause, perché ...
Quando la giuria aveva emesso il verdetto che, anche grazie a lei, ributtava sulle strade uno stupratore incallito, il pubblico presente al processo non si era più tenuto e, tra gl’insulti destinati a lui, ne aveva individuati parecchi anche per sé. Il giudice aveva richiamato l’aula alla calma, ma senza troppa convinzione.
Aveva vinto una causa ma aveva perso la stima di un bel po’ di persone a cui teneva. Non c’era stato niente da fare, aveva dovuto agire così.
I familiari e gli amici avevano circondato la ragazza che singhiozzava senza ritegno. ‘Ci andrà una vita prima che superi quello che le è successo, se mai ci riuscirà – aveva pensato lei, mentre riponeva le carte nella borsa – e io le ho inferto le ultime pugnalate, le più dolorose.’
L’avevano fatta uscire da una porticina sul retro, col suo assistito, per evitare il furore della folla. Prima di separarsi, gli aveva sussurrato: ‘Si ricordi l’appuntamento, stasera.’
Il ghigno di lui aveva finito per farle saltare i nervi e così aveva avuto inizio quella folle corsa verso casa.
Al buio, nel letto, si agitava, girandosi e rigirandosi senza tregua. Non riusciva a fare a meno di pensare alla ragazza. ‘Che cosa starà facendo? – si chiedeva – Come si sentirà domani e dopodomani e tutti i giorni che verranno? Quanto tempo passerà prima che un uomo le si possa avvicinare senza che lei provi terrore e disgusto? E se non succedesse mai?’
Dopo un po’ dovette alzarsi, il letto era diventato una graticola. Fino ad allora era stata sicura di aver agito per il meglio. E se non fosse stato così? Se avesse sacrificato la vita di quella giovane invano? Senza nemmeno rendersene conto si avvicinò ad una finestra e guardò giù. Le sembrò persino di vedere la ‘sua’ vittima lì sotto, davanti a casa.
Si passò una mano sulla fronte e pensò: ‘Forse sto diventando pazza.’ L’orologio sul caminetto batté le nove. Allora, come un automa, si rivestì, tutti abiti neri, e uscì.
Fermò l’auto sul ponte, dietro a quella del suo ormai ex-cliente e aspettò che scendesse. Cercò di controllare la nausea che le saliva dallo stomaco ad ondate. Quando furono ad un paio di metri di distanza, lui le porse una valigetta, senza parlare, quel laido sorriso sulle labbra. Lei gli fece segno di metterla a terra. Lui eseguì e poi disse: ‘Cinquantamila dollari esentasse sono una bella sommetta, avvocato.’- pronunciò ‘avvocato’ come se fosse un insulto – Penso che non ci vedremo più. Questa città non mi piace; la gente è piuttosto inospitale … le ragazze scontrose … - fece un passo verso di lei – a meno che …non voglia darmi tu l’ultimo saluto, un saluto come si deve – tacque, forse aspettando la reazione di lei, che non giunse – ‘Non vorrai farmi credere che hai ideato questo romantico incontro solo per guadagnare dei soldi extra da non denunciare al Fisco? – Il sorrisetto si trasformò in un ghigno che gli scoprì i denti. Rideva ancora quando la prima pallottola lo sbatté contro il parapetto. Cadde a terra, tentò di rialzarsi, ma lei lo ricacciò giù con un calcio.
‘Ho distrutto una povera ragazza, ma dovevo farti uscire a tutti i costi. Ti avrebbero dato tre, quattro anni al massimo e poi saresti stato di nuovo libero, pronto a ricominciare, come dieci anni fa a Detroit. Ti ricordi Detroit ? Il piccolo giardino dietro al teatro? Sì, lo vedo dai tuoi occhi che non hai dimenticato … e nemmeno io.’
Scaricò il caricatore.
Questa volta ci mise un po’ ad arrivare a casa. Guidava lentamente, con attenzione. Non poteva farsi scoprire per un banale incidente o una contravvenzione. Nessuno avrebbe sospettato di lei, non aveva alcun movente. Non c’era nessuna denuncia con la sua firma a Detroit. Sorrise fra sé, un sorriso amaro. Non aveva avuto alcuna fiducia nella polizia e nella giustizia allora, ma forse non è così strano per un avvocato.
Scese nel sotterraneo questa volta. Si sentiva più rilassata: sapeva che esistevano in giro migliaia di iene come la carogna che aveva lasciato sul ponte, ma quello almeno non avrebbe fatto altre vittime. Non era felice e neppure soddisfatta. Aveva incontrato parecchi assassini occasionali e sapeva che dopo non c’è quella esaltazione che uno si aspetta, anzi prima o poi sarebbero venuti persino i rimorsi, ora le sembrava impossibile, ma sarebbero arrivati. Capita così se non uccidi per abitudine.
Qualcosa di freddo le si incollò alla nuca e una voce femminile, rauca e distorta, sibilò: ‘Finalmente sei arrivata, brutta cagna!’.
Per un secondo fu fuori dal tempo e dallo spazio poi …non sapeva se piangere o se ridere. La vendicatrice uccisa da un’altra vendicatrice. Era il colmo! Assurdamente, nel giro di pochi secondi, decise di accettare la sua nemesi. Aveva ucciso; era giusto che fosse uccisa. Aspettò il colpo.
Un verso da animale ferito le colpì le orecchie, la canna della pistola lasciò il suo collo e sentì la ragazza uggiolare: ‘Non posso … non riesco … non ne sono capace…’
Si voltò. La ragazza aveva il viso fra le mani, tremava come una foglia e continuava ad emettere flebili lamenti. Lei si chinò, raccolse la pistola e se la mise in tasca, poi circondò le spalle della giovane e le disse: ‘Su, vieni, andiamo a berci qualcosa di forte. Ne abbiamo bisogno tutte e due.’
Poi, mentre si avviavano all’ascensore, aggiunse: ‘Abbiamo più cose in comune di quanto non immagini.’