Lavoro, ecco i sette settori-chiave

Lavoro, ecco i sette settori-chiave
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BIELLA - Ultima serata con i “Dialoghi con la modernità”, incontri di successo e di grande interesse organizzati dall’Auser Biella alla Camera del lavoro. Relatore d’eccezione Walter Passerini, giornalista  e docente universitario, che ha trattato il tema attualissimo “Il nostro lavoro nel futuro, il futuro del nostro lavoro”. Proprio nel giorno ricco di simbologie di San Martino, che un tempo indicava la scadenza del contratto di mezzadria, Passerini ha guardato con lucidità e competenza al mondo del lavoro in Italia, evitando toni apocalittici o apologetici e cercando di costruire un’idea di lavoro fondata sulla speranza. «La guerra per il lavoro nasce da lontano, dallo scontro tra Paesi ricchi e Paesi poveri, dalla spinta migratoria di tre miliardi di persone in età lavorativa che cercano un’occupazione. In Italia 1,7 milioni di persone ne sono alla ricerca: ed è una guerra tra giovani e adulti; tra dipendenti pubblici, che da sei anni aspettano il rinnovo del loro contratto, e dipendenti privati; tra uomini e donne che stanno silenziosamente tornando a casa. Ultimamente è cresciuta la stabilità, circa il 38%, ma molti tipi di contratti nascondono altre precarietà in un’Italia ferita da 3 milioni e 300mila disoccupati, da inattivi che non cercano più un’occupazione e infine da coloro che non hanno mai lavorato e non sono a tuttora disponibili a lavorare. Senza contare i part-time, un altro milione e mezzo di persone che non trovano lavoro a tempo pieno, i cassintegrati e i rassegnati».

Purtroppo per anni il lavoro non è stato una priorità, il suo valore è stato schiacciato, ridotto a merce di scambio, mentre come dice papa Francesco è «dignità e inclusione: se perde il suo valore culturale, non vale niente».  «Ma che cos’è il lavoro - si è chiesto Passerini -?. È poter esprimere la propria persona, è soddisfazione di un mestiere fondato sulla cultura del ben fatto. È espressione della cultura cristiana cattolica per la quale è sacrificio e punizione a causa del peccato originale; o della cultura protestante che lo vede come realizzazione del proprio destino. È disegnare il futuro, ciò che noi pensiamo, per cui ci muoviamo di conseguenza. Certo, bisogna crearlo al di là delle ideologie, e non è compito dello Stato ma delle classi dirigenti, dei governi che creano le condizioni favorevoli alle imprese con incentivi per lo sviluppo e la crescita».

Ecco, il punto è la creazione del lavoro, in particolare in sette settori-chiave. Che vanno dal made in Italy, alla moda, all’enogastronomia, al turismo di qualità, «basta con il “mordi e fuggi”». Poi c’è il web, il digitale, ma non quello del perito informatico, bensì quello dell’industria 4.0, quella dei robot, dell’intelligenza artificiale, dell’ambiente sostenibile: l’industria manifatturiera d’eccellenza che è volano di sviluppo. E ancora il welfare, essenziale in un Paese che sta invecchiando e che tratta gli anziani in modo terrificante: sarà che non abbiamo voglia di occuparcene in modo serio?

Mariella Debernardi

BIELLA - Ultima serata con i “Dialoghi con la modernità”, incontri di successo e di grande interesse organizzati dall’Auser Biella alla Camera del lavoro. Relatore d’eccezione Walter Passerini, giornalista  e docente universitario, che ha trattato il tema attualissimo “Il nostro lavoro nel futuro, il futuro del nostro lavoro”. Proprio nel giorno ricco di simbologie di San Martino, che un tempo indicava la scadenza del contratto di mezzadria, Passerini ha guardato con lucidità e competenza al mondo del lavoro in Italia, evitando toni apocalittici o apologetici e cercando di costruire un’idea di lavoro fondata sulla speranza. «La guerra per il lavoro nasce da lontano, dallo scontro tra Paesi ricchi e Paesi poveri, dalla spinta migratoria di tre miliardi di persone in età lavorativa che cercano un’occupazione. In Italia 1,7 milioni di persone ne sono alla ricerca: ed è una guerra tra giovani e adulti; tra dipendenti pubblici, che da sei anni aspettano il rinnovo del loro contratto, e dipendenti privati; tra uomini e donne che stanno silenziosamente tornando a casa. Ultimamente è cresciuta la stabilità, circa il 38%, ma molti tipi di contratti nascondono altre precarietà in un’Italia ferita da 3 milioni e 300mila disoccupati, da inattivi che non cercano più un’occupazione e infine da coloro che non hanno mai lavorato e non sono a tuttora disponibili a lavorare. Senza contare i part-time, un altro milione e mezzo di persone che non trovano lavoro a tempo pieno, i cassintegrati e i rassegnati».

Purtroppo per anni il lavoro non è stato una priorità, il suo valore è stato schiacciato, ridotto a merce di scambio, mentre come dice papa Francesco è «dignità e inclusione: se perde il suo valore culturale, non vale niente».  «Ma che cos’è il lavoro - si è chiesto Passerini -?. È poter esprimere la propria persona, è soddisfazione di un mestiere fondato sulla cultura del ben fatto. È espressione della cultura cristiana cattolica per la quale è sacrificio e punizione a causa del peccato originale; o della cultura protestante che lo vede come realizzazione del proprio destino. È disegnare il futuro, ciò che noi pensiamo, per cui ci muoviamo di conseguenza. Certo, bisogna crearlo al di là delle ideologie, e non è compito dello Stato ma delle classi dirigenti, dei governi che creano le condizioni favorevoli alle imprese con incentivi per lo sviluppo e la crescita».

Ecco, il punto è la creazione del lavoro, in particolare in sette settori-chiave. Che vanno dal made in Italy, alla moda, all’enogastronomia, al turismo di qualità, «basta con il “mordi e fuggi”». Poi c’è il web, il digitale, ma non quello del perito informatico, bensì quello dell’industria 4.0, quella dei robot, dell’intelligenza artificiale, dell’ambiente sostenibile: l’industria manifatturiera d’eccellenza che è volano di sviluppo. E ancora il welfare, essenziale in un Paese che sta invecchiando e che tratta gli anziani in modo terrificante: sarà che non abbiamo voglia di occuparcene in modo serio?

Mariella Debernardi

 

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