«La Protezione civile? Nacque nel 1968, nella vostra Vallestrona»

«La Protezione civile? Nacque nel 1968, nella vostra Vallestrona»
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VALLE MOSSO - Il 2 novembre 1968, mentre in Valle Strona scendeva il buio del disastro, il ventiquattrenne genovese Valter Bay è «un oscuro sergentino Auc» del 51° corso per allievi ufficiali di complemento. Opera alla caserma Scalise di Vercelli, nell’ambito del reggimento di artiglieria corazzata Centauro. «Piove molto forte - ricorda -, ma francamente nulla fa presagire quello che sta per succedere. Alle due di notte fulmini, tuoni e schianti mi svegliano di soprassalto. Chiedo alla guardia cosa stia succedendo. Non vedo nulla. La corrente è andata via   e non ci sono generatori.  In mezzo ai fulmini intravedo sulla strada principale della caserma un platano secolare abbattuto.  Faccio accendere un M113 e lo faccio spostare, in modo da liberare il passo della strada. Poi aspetto gli eventi». Ed è solo l’inizio. «La faccenda a poco a poco si fa pesante - ricorda ancora Bay - e comincio ad avere una sensazione di paura. Comincio a capire chiaramente che siamo nel mezzo di un’alluvione di imponenti proporzioni». Non lo sa ancora Valter Bay, quel giorno casualmente finito al comando della caserma per turno da sergente di ispezione, che quel momento, quella paura, stanno per diventare pezzi di storia. 
Che grazie anche a lui un po’ d’Italia cambierà. 
Sono passati quasi cinquant’anni, ma Bay, oggi 72enne in pensione, vuole parlare con il Biellese. Non ha legami con l’attualità, ma lo fa per desiderio personale. Questioni di salute, da un lato. E poi l’intuizione che oggi, dopo tanti anni di silenzio, c’è finalmente interesse. Verso quei fatti, verso le macchine del soccorso, verso un mondo che, ad ogni calamità, in ogni caso - e la storia delle ultime settimane lo racconta più che mai - si attiva a beneficio di tutti: «Vi lascio la mia testimonianza su quanto accadde a Valle Mosso perché sappiate, biellesi, che nella vostra terra, in quei giorni, è nata per caso la cosiddetta Protezione civile. Quella fu la prima volta in Italia in cui l'ordine di muovere in soccorso di un luogo non derivò da ordini del Ministero, ma più banalmente derivò dalla calamità stessa». 
Negli stessi minuti in cui Bay iniziava a sentire paura, sempre più giustificata da quel che stava accadendo, qualcosa di storico si mosse. «Nel tardo pomeriggio del 1° novembre decisi di predisporre il mio gruppo per un’eventuale evacuazione della caserma. Avevo un grado troppo basso per prendere una simile iniziativa e cercai quindi di mettermi in contatto con qualche ufficiale. Niente. Allora, in tarda serata, feci chiamare un’adunata e chiesi se vi fossero artiglieri disponibili per formare un picchetto amato straordinario. Chiesi 100 volontari: se ne offrirono 180». 
E’ l’inizio. Da quel momento in poi, dall’istante in cui viene presa la decisione di evacuare la caserma per cercare salvezza su qualche altura nella zona di Gattinara, i militari della Centauro legano il loro destino alla Valle di Mosso. «La sera del 2 novembre un radioamatore, Tito Tallia Galoppo di Strona, lancia il primo segnale con richiesta di soccorso - racconta Bay -. Ma un conto è pensare di agire, un conto è fare. Le strade e le comunicazioni sono bloccate. Ma quando il colonnello Lanzara, comandante della “Scalise”, riceve l’sos e ci porta la notizia di una tragica alluvione a Valle Mosso, segnalando l’urgenza di portare soccorso, non ci pensiamo un attimo. Siamo forse da soccorrere noi, ma dirigiamo tutta la colonna verso Cossato. Nella notte siamo a Valle Mosso». Quel che accadde dopo, per chi ricorda con onestà, è storia. L’alba del 3 novembre, dopo un difficile ingresso nell’asilo valmossese, utilizzato dai militari come ricovero, arriva presto. «E siamo subito al lavoro per soccorrere la gente - prosegue Bay -. Non abbiamo mangiato, non abbiamo dormito da tre giorni, siamo stanchi e fradici come pulcini, ma...  “tasi e tira” dicevano i nostri veci, cominciamo a lavorare per fare il possibile. Tutto il resto non conta...». 
Insomma, fu così che andò. «Il soccorso a Valle Mosso  - conclude Bay - fu comandato ed organizzato da noi, figli delle nostre montagne, che in quel momento indossavano le insegne della Centauro». E le cronache ne rendono merito: «Fu quello il primo vero episodio di protezione civile organizzato “dentro” la calamità - racconta Rivista militare -, secondo uno schema  ripetuto e collaudato anni dopo nel terremoto del 1976 in Friuli. Fu lo schema operativo dal quale nacque poi, attraverso Zamberletti, la Protezione civile in Italia, con integrazione fra civili e militari». E se non fosse stato per quell’«oscuro sergentino», tornato cinquant’anni dopo a cercar notizie della terra che aveva contribuito a salvare, oggi di questo neppure i Biellesi avrebbero coscienza.
Veronica Balocco

VALLE MOSSO - Il 2 novembre 1968, mentre in Valle Strona scendeva il buio del disastro, il ventiquattrenne genovese Valter Bay è «un oscuro sergentino Auc» del 51° corso per allievi ufficiali di complemento. Opera alla caserma Scalise di Vercelli, nell’ambito del reggimento di artiglieria corazzata Centauro. «Piove molto forte - ricorda -, ma francamente nulla fa presagire quello che sta per succedere. Alle due di notte fulmini, tuoni e schianti mi svegliano di soprassalto. Chiedo alla guardia cosa stia succedendo. Non vedo nulla. La corrente è andata via   e non ci sono generatori.  In mezzo ai fulmini intravedo sulla strada principale della caserma un platano secolare abbattuto.  Faccio accendere un M113 e lo faccio spostare, in modo da liberare il passo della strada. Poi aspetto gli eventi». Ed è solo l’inizio. «La faccenda a poco a poco si fa pesante - ricorda ancora Bay - e comincio ad avere una sensazione di paura. Comincio a capire chiaramente che siamo nel mezzo di un’alluvione di imponenti proporzioni». Non lo sa ancora Valter Bay, quel giorno casualmente finito al comando della caserma per turno da sergente di ispezione, che quel momento, quella paura, stanno per diventare pezzi di storia. 
Che grazie anche a lui un po’ d’Italia cambierà. 
Sono passati quasi cinquant’anni, ma Bay, oggi 72enne in pensione, vuole parlare con il Biellese. Non ha legami con l’attualità, ma lo fa per desiderio personale. Questioni di salute, da un lato. E poi l’intuizione che oggi, dopo tanti anni di silenzio, c’è finalmente interesse. Verso quei fatti, verso le macchine del soccorso, verso un mondo che, ad ogni calamità, in ogni caso - e la storia delle ultime settimane lo racconta più che mai - si attiva a beneficio di tutti: «Vi lascio la mia testimonianza su quanto accadde a Valle Mosso perché sappiate, biellesi, che nella vostra terra, in quei giorni, è nata per caso la cosiddetta Protezione civile. Quella fu la prima volta in Italia in cui l'ordine di muovere in soccorso di un luogo non derivò da ordini del Ministero, ma più banalmente derivò dalla calamità stessa». 
Negli stessi minuti in cui Bay iniziava a sentire paura, sempre più giustificata da quel che stava accadendo, qualcosa di storico si mosse. «Nel tardo pomeriggio del 1° novembre decisi di predisporre il mio gruppo per un’eventuale evacuazione della caserma. Avevo un grado troppo basso per prendere una simile iniziativa e cercai quindi di mettermi in contatto con qualche ufficiale. Niente. Allora, in tarda serata, feci chiamare un’adunata e chiesi se vi fossero artiglieri disponibili per formare un picchetto amato straordinario. Chiesi 100 volontari: se ne offrirono 180». 
E’ l’inizio. Da quel momento in poi, dall’istante in cui viene presa la decisione di evacuare la caserma per cercare salvezza su qualche altura nella zona di Gattinara, i militari della Centauro legano il loro destino alla Valle di Mosso. «La sera del 2 novembre un radioamatore, Tito Tallia Galoppo di Strona, lancia il primo segnale con richiesta di soccorso - racconta Bay -. Ma un conto è pensare di agire, un conto è fare. Le strade e le comunicazioni sono bloccate. Ma quando il colonnello Lanzara, comandante della “Scalise”, riceve l’sos e ci porta la notizia di una tragica alluvione a Valle Mosso, segnalando l’urgenza di portare soccorso, non ci pensiamo un attimo. Siamo forse da soccorrere noi, ma dirigiamo tutta la colonna verso Cossato. Nella notte siamo a Valle Mosso». Quel che accadde dopo, per chi ricorda con onestà, è storia. L’alba del 3 novembre, dopo un difficile ingresso nell’asilo valmossese, utilizzato dai militari come ricovero, arriva presto. «E siamo subito al lavoro per soccorrere la gente - prosegue Bay -. Non abbiamo mangiato, non abbiamo dormito da tre giorni, siamo stanchi e fradici come pulcini, ma...  “tasi e tira” dicevano i nostri veci, cominciamo a lavorare per fare il possibile. Tutto il resto non conta...». 
Insomma, fu così che andò. «Il soccorso a Valle Mosso  - conclude Bay - fu comandato ed organizzato da noi, figli delle nostre montagne, che in quel momento indossavano le insegne della Centauro». E le cronache ne rendono merito: «Fu quello il primo vero episodio di protezione civile organizzato “dentro” la calamità - racconta Rivista militare -, secondo uno schema  ripetuto e collaudato anni dopo nel terremoto del 1976 in Friuli. Fu lo schema operativo dal quale nacque poi, attraverso Zamberletti, la Protezione civile in Italia, con integrazione fra civili e militari». E se non fosse stato per quell’«oscuro sergentino», tornato cinquant’anni dopo a cercar notizie della terra che aveva contribuito a salvare, oggi di questo neppure i Biellesi avrebbero coscienza.
Veronica Balocco

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