Gino Piccioni e la ruota della fortuna

Gino Piccioni e la ruota della fortuna
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BIELLA - La Sala Frassati del Santuario di Oropa ha ospitato la conferenza “Gino Piccioni. Il pittore, lo scultore, l'uomo” a cura di Carlo Gavazzi e Alessandra Montanera su iniziativa congiunta tra Museo del Territorio Biellese e Santurario di Oropa. Lo stesso Gavazzi ne racconta qui, per i lettori di Eco di Biella, i tratti salienti.

Il destino e il successo di un artista sono sovente capricciosi e imprevedibili, dalle stalle alle stelle e viceversa. Emblematico è il caso di Gino Piccioni. Nato a Foligno nel 1871 egli si sposa nel 1905 a Tivoli e qui si trasferisce: abita in una villa fra gli ulivi e ha lo studio in un’antica torre. La capitale è a due passi ed gli diviene presto famoso nella Roma–bene: quando Benedetto XV è eletto papa, egli è il primo pittore ammesso a dipingerne un ritratto: scusate se è poco... Lontano mille miglia dalle avanguardie, dalla genialità e dalle intemperanze del Futurismo che sta portando l’Italia alla ribalta a livello mondiale, egli non è però un pittore di maniera che assecondi supinamente la committenza: ha una sua personalità, oltre a un’invidiabile facilità a ottener del pennello (e dai pastelli) ciò che gli passa per la testa e per il cuore. Ne è un autodidatta dagli orizzonti limitati: ha girato a lungo Francia, Inghilterra e soprattutto Germania guardandosi intorno con occhi attenti e ha avuto due validi maestri. 

La sua fama è dunque indiscussa e meritata quando va a trovarlo Emilio Gallo per convincerlo a lavorar per lui in quella che sarà una fra le più originali tombe di Oropa. Iginio detto Gino accetta: si trasferisce temporaneamente a Sordevolo e ogni giorno sale al cimitero­bosco del santuario, su in alto, là dove le edicole funerarie terminano e inizia la montagna intatta, a dipingere una notevole Resurrezione. La pittura si ispira al luminismo divisionista di Previati ma l’atteggiamento del Cristo ­ nota Alessandra Montanera ­ è alla Bistolfi. Dal 1916 il pittore è divenuto anche scultore, allievo di Ettore Ferrari: un nome di grido, l’artefice fra l’altro del monumento a Quintino Sella a Roma. Nel Biellese, che diverrà dopo di lui terra di bravi pittori­scultori (da Sandrùn a Placido Castaldi a Mariella Perino), oggi è più facile scoprirne le tracce scolpite che quelle dipinte. Così nell’edicola Gallo eccolo unire (e armonizzare bene) bronzi e pitture murali. Veder un artista dipingere e scolpire nella stessa tomba è, per quel che ne so, poco comune; al cimitero di Biella egli farà lo stesso nell’edicola Ghelfi.

Torna a Tivoli ed ecco uno di quegli avvenimenti che cambiano la vita: gli muore Zeno, il primogenito. Gino e la moglie Dina sono sconvolti. Tutto crolla. Che fare? Come sopravvivere? Ci vuole un taglio netto con il passato, con luoghi anche bellissimi come l’uliveto attorno a casa ma troppo legati a Zeno. Dove rifugiarsi?

Il Biellese gli è rimasto nel cuore e Gino cerca asilo qua. Risiede a Biella a partire dal 1927. Le foto che lo ritraggono ci mostrano un bel viso solare e aperto; solare e aperta è sovente la sua pittura, mentre caratteristica della sua scultura è una nobile magniloquenza. La scelta si rivelerà felice: Gino amerà molto il Biellese e i biellesi e da essi sarà riamato. Lo dicono i numeri. La schedatura della stampa locale operata dal DocBi rivela che sono ben sessantotto gli articoli che lo riguardano usciti su “Il Biellese” durante la sua vita o appena dopo la sua morte: benché nato assai lontano dalla nostra città egli ha in questo superato largamente tutti gli scultori locali... E quando per le vacanze natalizie 1932­33 egli allestisce un presepio al Politeama Biellese (nell’attuale via Marconi, là dove in seguito verrà aperto l’omonimo cinematografo) dalla vigilia di Natale al 15 gennaio ben diecimila persone si affollano a visitarlo, benché l’ingresso costi una Lira. 

Numerose anche le mostre, segno di un’attività infaticabile, e a testimoniare ancora una volta l’irresistibile successo del nostro ecco, in piena guerra, nel ‘41, il “tutto venduto” in una personale con ottanta opere – che non son poche, ma anche in altre occasioni Gino ne ha presentate altrettante. Ma nel frattempo la beffarda scure della gozzaniana “eguagliatrice” che “numera le fosse” si è nuovamente abbattuta sulla sua famiglia: due anni prima è morto anche il secondogenito, gli rimane solo più la figlia. Il cuore ha sofferto troppo e cede all’improvviso. Il 2 luglio 1941 Gino, che già pensa alle prossime vacanze a Sorrento, mentre scende per la costa del Piazzo trasportando un quadro stramazza a terra. Caduto sul lavoro!

La mostra del ’41 per coincidenza si svolge al Circolo “M. Gioda” ovvero negli stessi locali che quindici anni prima avevano ospitato – come Circolo Commerciale – la prima esposizione biellese del nostro. Nel febbraio dell’anno seguente una retrospettiva lo commemora alla Galleria Garlanda; dopo di che scende la notte. Niente più articoli, come quelli che non solo sul bisettimanale locale ma anche sui periodici “Rivista Biellese” e “Illustrazione Biellese” avevano più volte puntato i riflettori su di lui: Biella uscita dalla guerra lo dimentica totalmente. E sì che i suoi bronzi son sotto gli occhi di tutti. Dalla Fons Vitae, la più elegante fontana della città, al monumento ai Caduti di Sordevolo; dalle grandi e piccole composizioni funerarie private (oltre alle citate edicole Gallo e Ghelfi ricordo le tombe Carpano Maglioli a Oropa, Bertotto a Valle Mosso, Mossa­Guarnieri a Occhieppo Superiore, Tarabbo, Barberis, Porta, Mongilardi a Biella) a quelle pubbliche (la grande Pietà sul frontone del cimitero di Biella, una delle cui sette figure è ispirata al “Pensatore” di Rodin, e il Cristo risorto che funge da monumento ai Caduti al suo interno). Più difficile, come sovente succede, rintracciare le pitture, assai numerose ma quasi tutte celate in dimore private, a parte ciò che possiede il museo di Biella e ciò di cui ora dirò. Gino dorme sonni tranquilli dal 1942 al 2004, quando la ruota della fortuna che l’aveva trascinato prima sull’Olimpo e poi nel dimenticatoio inizia a invertire il suo corso. Da principio in sordina: una cinquantina di persone partecipa a una visita guidata del DocBi al cimitero di Biella (una novità per la nostra provincia) e a costoro viene distribuito un opuscolo che ha in copertina un drammatico particolare della Pietà dell’edicola Tarabbo. 

Cinque anni dopo sul bollettino del DocBi esce un contributo dall’enigmatico titolo “La torre dei sogni”. La protagonista è la torre rinascimentale sopra la pasticceria Ferrua, all’incrocio fra via Italia e via San Filippo. Una mia carissima amica, Cristina Furno, ne è rimasta ammaliata e un po’ per volta conquistata: l’ha comprata e mi ha chiesto di ricostruirne la storia. Quella dal Rinascimento al ventesimo secolo è tuttora da scoprire, ma quella recente no: qui hanno avuto lo studio prima Gino e poi un altro scultore giunto a Biella dall’Italia Centrale, il maceratese Antonio Zucconi. La torre, detta “Casa Tarabbo”, forse non porta fortuna. Nel 1928 un incendio distrusse lo studio di Gino procurandogli un danno enorme: il colpo di grazia lo diedero i pompieri, figuratevi i suoi pastelli sotto il getto degli idranti... Zucconi, che qui creò un cenacolo artistico frequentato dalle “promesse” di allora (promesse mantenute, da Epifanio Pozzato a Mariella Perino), finì i suoi giorni indebitato e divorato dalle donne e dall’alcool. Cristina è morta ancor giovane.

Dopo “La torre dei sogni”, che ricostruisce l’opera di Piccioni scultore e Zucconi, la ruota continua a girare. Quattro grandi altorilievi di Gino di soggetto “laniero” vengono citati in un successivo bollettino DocBi dedicato all’industria. 

Il cimitero di Oropa da luogo cui accede solo chi ha qualche caro ivi sepolto diviene una risorsa turistica: esce un libro ad esso dedicato, “L’altra Oropa”, e si susseguono le visite guidate, che additano a biellesi e forestieri bronzi e pitture del nostro. Al Museo del Territorio viene donato un bel dipinto di Gino dalla strana forma. Che cos’era in origine? Una sovrapporta. E poiché per il Museo lavora Alessandra Montanera (che con Claudia Ghiraldello costituisce una coppia di ricercatrici in campo artistico dal fiuto degno di un cane da tartufi di cui il Biellese può menar vanto) ecco una bella scoperta: la provenienza è Villa Schneider e tutte le sovrapporte della palazzina (che tutti noi abbiamo guardato con occhio distratto quando vi siamo entrati per visitar qualche mostra) son pregevoli dipinti di Piccioni! Alessandra si appassiona alla ricerca e scopre pitture, qualche scultura e inattese notizie. Come quella che il progetto di un monumento a Bismarck (non un personaggio da poco) vincitore di un concorso in una città tedesca ma purtroppo non realizzato per lo scoppio della Grande Guerra è opera di Gino!

Il tutto viene presentato in una conferenza al Museo, ma nel frattempo è entrato in scena Danilo Craveia: sul “Biellese” egli ha ricostruito la storia del mitico presepio al Politeama, e dal suo articolo provengono i numeri che ho citato. Poiché Piccioni è assai legato a Oropa – non solo per le tombe Gallo e Carpano Maglioli ma perché il santuario, spesso ripreso con taglio inusuale, ricorre in molti suoi dipinti – lo scorso 31 luglio la conferenza è stata ripresentata appunto a Oropa. «Ma sai ­ mi dice qualche giorno fa una mia amica ­ che il mio fidanzato ha in cantina una pecora di Piccioni che faceva parte di un presepio?». Magari proprio quello del Politeama? «Digli di tenerla ben custodita e aspettare ­ rispondo ­. Se la ruota continua a girare, fra qualche anno varrà un miliardo!».

Carlo Gavazzi


BIELLA - La Sala Frassati del Santuario di Oropa ha ospitato la conferenza “Gino Piccioni. Il pittore, lo scultore, l'uomo” a cura di Carlo Gavazzi e Alessandra Montanera su iniziativa congiunta tra Museo del Territorio Biellese e Santurario di Oropa. Lo stesso Gavazzi ne racconta qui, per i lettori di Eco di Biella, i tratti salienti.

Il destino e il successo di un artista sono sovente capricciosi e imprevedibili, dalle stalle alle stelle e viceversa. Emblematico è il caso di Gino Piccioni. Nato a Foligno nel 1871 egli si sposa nel 1905 a Tivoli e qui si trasferisce: abita in una villa fra gli ulivi e ha lo studio in un’antica torre. La capitale è a due passi ed gli diviene presto famoso nella Roma–bene: quando Benedetto XV è eletto papa, egli è il primo pittore ammesso a dipingerne un ritratto: scusate se è poco... Lontano mille miglia dalle avanguardie, dalla genialità e dalle intemperanze del Futurismo che sta portando l’Italia alla ribalta a livello mondiale, egli non è però un pittore di maniera che assecondi supinamente la committenza: ha una sua personalità, oltre a un’invidiabile facilità a ottener del pennello (e dai pastelli) ciò che gli passa per la testa e per il cuore. Ne è un autodidatta dagli orizzonti limitati: ha girato a lungo Francia, Inghilterra e soprattutto Germania guardandosi intorno con occhi attenti e ha avuto due validi maestri. 

La sua fama è dunque indiscussa e meritata quando va a trovarlo Emilio Gallo per convincerlo a lavorar per lui in quella che sarà una fra le più originali tombe di Oropa. Iginio detto Gino accetta: si trasferisce temporaneamente a Sordevolo e ogni giorno sale al cimitero­bosco del santuario, su in alto, là dove le edicole funerarie terminano e inizia la montagna intatta, a dipingere una notevole Resurrezione. La pittura si ispira al luminismo divisionista di Previati ma l’atteggiamento del Cristo ­ nota Alessandra Montanera ­ è alla Bistolfi. Dal 1916 il pittore è divenuto anche scultore, allievo di Ettore Ferrari: un nome di grido, l’artefice fra l’altro del monumento a Quintino Sella a Roma. Nel Biellese, che diverrà dopo di lui terra di bravi pittori­scultori (da Sandrùn a Placido Castaldi a Mariella Perino), oggi è più facile scoprirne le tracce scolpite che quelle dipinte. Così nell’edicola Gallo eccolo unire (e armonizzare bene) bronzi e pitture murali. Veder un artista dipingere e scolpire nella stessa tomba è, per quel che ne so, poco comune; al cimitero di Biella egli farà lo stesso nell’edicola Ghelfi.

Torna a Tivoli ed ecco uno di quegli avvenimenti che cambiano la vita: gli muore Zeno, il primogenito. Gino e la moglie Dina sono sconvolti. Tutto crolla. Che fare? Come sopravvivere? Ci vuole un taglio netto con il passato, con luoghi anche bellissimi come l’uliveto attorno a casa ma troppo legati a Zeno. Dove rifugiarsi?

Il Biellese gli è rimasto nel cuore e Gino cerca asilo qua. Risiede a Biella a partire dal 1927. Le foto che lo ritraggono ci mostrano un bel viso solare e aperto; solare e aperta è sovente la sua pittura, mentre caratteristica della sua scultura è una nobile magniloquenza. La scelta si rivelerà felice: Gino amerà molto il Biellese e i biellesi e da essi sarà riamato. Lo dicono i numeri. La schedatura della stampa locale operata dal DocBi rivela che sono ben sessantotto gli articoli che lo riguardano usciti su “Il Biellese” durante la sua vita o appena dopo la sua morte: benché nato assai lontano dalla nostra città egli ha in questo superato largamente tutti gli scultori locali... E quando per le vacanze natalizie 1932­33 egli allestisce un presepio al Politeama Biellese (nell’attuale via Marconi, là dove in seguito verrà aperto l’omonimo cinematografo) dalla vigilia di Natale al 15 gennaio ben diecimila persone si affollano a visitarlo, benché l’ingresso costi una Lira. 

Numerose anche le mostre, segno di un’attività infaticabile, e a testimoniare ancora una volta l’irresistibile successo del nostro ecco, in piena guerra, nel ‘41, il “tutto venduto” in una personale con ottanta opere – che non son poche, ma anche in altre occasioni Gino ne ha presentate altrettante. Ma nel frattempo la beffarda scure della gozzaniana “eguagliatrice” che “numera le fosse” si è nuovamente abbattuta sulla sua famiglia: due anni prima è morto anche il secondogenito, gli rimane solo più la figlia. Il cuore ha sofferto troppo e cede all’improvviso. Il 2 luglio 1941 Gino, che già pensa alle prossime vacanze a Sorrento, mentre scende per la costa del Piazzo trasportando un quadro stramazza a terra. Caduto sul lavoro!

La mostra del ’41 per coincidenza si svolge al Circolo “M. Gioda” ovvero negli stessi locali che quindici anni prima avevano ospitato – come Circolo Commerciale – la prima esposizione biellese del nostro. Nel febbraio dell’anno seguente una retrospettiva lo commemora alla Galleria Garlanda; dopo di che scende la notte. Niente più articoli, come quelli che non solo sul bisettimanale locale ma anche sui periodici “Rivista Biellese” e “Illustrazione Biellese” avevano più volte puntato i riflettori su di lui: Biella uscita dalla guerra lo dimentica totalmente. E sì che i suoi bronzi son sotto gli occhi di tutti. Dalla Fons Vitae, la più elegante fontana della città, al monumento ai Caduti di Sordevolo; dalle grandi e piccole composizioni funerarie private (oltre alle citate edicole Gallo e Ghelfi ricordo le tombe Carpano Maglioli a Oropa, Bertotto a Valle Mosso, Mossa­Guarnieri a Occhieppo Superiore, Tarabbo, Barberis, Porta, Mongilardi a Biella) a quelle pubbliche (la grande Pietà sul frontone del cimitero di Biella, una delle cui sette figure è ispirata al “Pensatore” di Rodin, e il Cristo risorto che funge da monumento ai Caduti al suo interno). Più difficile, come sovente succede, rintracciare le pitture, assai numerose ma quasi tutte celate in dimore private, a parte ciò che possiede il museo di Biella e ciò di cui ora dirò. Gino dorme sonni tranquilli dal 1942 al 2004, quando la ruota della fortuna che l’aveva trascinato prima sull’Olimpo e poi nel dimenticatoio inizia a invertire il suo corso. Da principio in sordina: una cinquantina di persone partecipa a una visita guidata del DocBi al cimitero di Biella (una novità per la nostra provincia) e a costoro viene distribuito un opuscolo che ha in copertina un drammatico particolare della Pietà dell’edicola Tarabbo. 

Cinque anni dopo sul bollettino del DocBi esce un contributo dall’enigmatico titolo “La torre dei sogni”. La protagonista è la torre rinascimentale sopra la pasticceria Ferrua, all’incrocio fra via Italia e via San Filippo. Una mia carissima amica, Cristina Furno, ne è rimasta ammaliata e un po’ per volta conquistata: l’ha comprata e mi ha chiesto di ricostruirne la storia. Quella dal Rinascimento al ventesimo secolo è tuttora da scoprire, ma quella recente no: qui hanno avuto lo studio prima Gino e poi un altro scultore giunto a Biella dall’Italia Centrale, il maceratese Antonio Zucconi. La torre, detta “Casa Tarabbo”, forse non porta fortuna. Nel 1928 un incendio distrusse lo studio di Gino procurandogli un danno enorme: il colpo di grazia lo diedero i pompieri, figuratevi i suoi pastelli sotto il getto degli idranti... Zucconi, che qui creò un cenacolo artistico frequentato dalle “promesse” di allora (promesse mantenute, da Epifanio Pozzato a Mariella Perino), finì i suoi giorni indebitato e divorato dalle donne e dall’alcool. Cristina è morta ancor giovane.

Dopo “La torre dei sogni”, che ricostruisce l’opera di Piccioni scultore e Zucconi, la ruota continua a girare. Quattro grandi altorilievi di Gino di soggetto “laniero” vengono citati in un successivo bollettino DocBi dedicato all’industria. 

Il cimitero di Oropa da luogo cui accede solo chi ha qualche caro ivi sepolto diviene una risorsa turistica: esce un libro ad esso dedicato, “L’altra Oropa”, e si susseguono le visite guidate, che additano a biellesi e forestieri bronzi e pitture del nostro. Al Museo del Territorio viene donato un bel dipinto di Gino dalla strana forma. Che cos’era in origine? Una sovrapporta. E poiché per il Museo lavora Alessandra Montanera (che con Claudia Ghiraldello costituisce una coppia di ricercatrici in campo artistico dal fiuto degno di un cane da tartufi di cui il Biellese può menar vanto) ecco una bella scoperta: la provenienza è Villa Schneider e tutte le sovrapporte della palazzina (che tutti noi abbiamo guardato con occhio distratto quando vi siamo entrati per visitar qualche mostra) son pregevoli dipinti di Piccioni! Alessandra si appassiona alla ricerca e scopre pitture, qualche scultura e inattese notizie. Come quella che il progetto di un monumento a Bismarck (non un personaggio da poco) vincitore di un concorso in una città tedesca ma purtroppo non realizzato per lo scoppio della Grande Guerra è opera di Gino!

Il tutto viene presentato in una conferenza al Museo, ma nel frattempo è entrato in scena Danilo Craveia: sul “Biellese” egli ha ricostruito la storia del mitico presepio al Politeama, e dal suo articolo provengono i numeri che ho citato. Poiché Piccioni è assai legato a Oropa – non solo per le tombe Gallo e Carpano Maglioli ma perché il santuario, spesso ripreso con taglio inusuale, ricorre in molti suoi dipinti – lo scorso 31 luglio la conferenza è stata ripresentata appunto a Oropa. «Ma sai ­ mi dice qualche giorno fa una mia amica ­ che il mio fidanzato ha in cantina una pecora di Piccioni che faceva parte di un presepio?». Magari proprio quello del Politeama? «Digli di tenerla ben custodita e aspettare ­ rispondo ­. Se la ruota continua a girare, fra qualche anno varrà un miliardo!».

Carlo Gavazzi