GENIUS LOCI Il ritorno della primavera
Nella vicina Valle d’Aosta, il termine «bouye» indica genericamente la biscia, «mirauda», nella parlata biellese, di cui - in entrambi i territori - si utilizzava la tsemise, la sua camicia, la pelle della muta di primavera, che l’animale perde strusciandosi sui muri o tra i rovi. Nel mondo della tradizione alpina, questa pelle aveva molte proprietà terapeutiche: cicatrizzante, efficace contro le bruciature e le ferite, ideale per espellere spine profondamente conficcate; si utilizzava come garza, proprio come la tsemise du grilloun, cioè la telina che fanno i grilli, ritenuta anch’essa molto efficace. Secondo alcune testimonianze, si pensa «che la tsemise de la bouye», la camicia della biscia serva anche per proteggere dal male ai denti, ma, affinché questo avvenga, bisogna raccoglierla con i denti e non con le mani. Oltre che come medicinale, la pelle della “bouye” è ancora utilizzata per ornare bastoni da montagna e per preservare dal veleno della vipera.
Negli scaffali del bar del Bocchetto Sessera, sulla panoramica Zegna, la strada che collega la Valle Cervo con le Valli di Mosso, fanno bella mostra di sé alcune bottiglie di grappa in cui sono state inserite serpi e vipere. Questo liquore pare dotato di particolari virtù curative. A Sordevolo, inoltre, la biscia è considerata animale predittivo: «Sa ‘s vuch ant al dopmisdì ‘n sarpènt gris, ai vèn la pióva; sa ‘s vuch in sarpènt rus e nèiru, al tèmp s’arléva», vale a dire, “se si vede nel pomeriggio un serpente grigio, verrà la pioggia; se si vede un serpente rosso e nero, il tempo migliorerà”. All’animale mitico, vengono attribuite molte contraddizioni poiché rappresenta il bene ed il male, il veleno e la guarigione, le tenebre e la luce, la morte e la vita, la luna ed il sole, il bello e il cattivo tempo, come, d’altronde, la stessa parola “farmaco” che, in greco, vale sia veleno sia medicamento.
Già nei racconti mitologici lo si trova protagonista: Apollo, il Dio Sole uccide il serpente Pitone a Delfi. Questo animale simbolizza spesso la perdita dell’immortalità come nel racconto di Eva che, mangiando la mela, rende l’uomo mortale. Per ritrovare questa immortalità persa bisogna vivere queste trasformazioni multiple proposte anche dal serpente, che cambia ogni anno la pelle a seconda della temperatura e del variare delle stagioni.
Per evitare questo animale e i suoi morsi si diceva che era necessario mangiare, il giorno di Pasqua, a digiuno, le mele benedette la Domenica delle Palme. Per altri, bisogna mettere sul ramì di ulivo una mela, di qualità rossa, e poi mangiarla il Venerdì Santo peu se preserve di bouye. Questo frutto, simbolo di perdizione nei racconti biblici, diventa così mezzo di redenzione.
Giovanni Savio