"Scuola nell'ex Cottolengo"

"Scuola nell'ex Cottolengo"
Pubblicato:
Aggiornato:

(12 nov) «Sembra sia stata chiusa ieri», ripetono spesso le persone che vi entrano. Ma in realtà il Cottolengo di Bioglio (di proprietà della sede torinese del Cottolengo) è stato chiuso ben prima: nove anni fa si sono trasferiti altrove gli anziani che vi risiedevano (fino a sessanta), sette anni fa sono andate via le ultime suore (una trentina) e da allora è disabitato. Eppure l’intonaco ancora intatto, la vernice data non più di dieci anni fa e il colpo d’occhio dell’edificio danno l’idea di una struttura ancora sana. Ma cosa si può fare per non perderla del tutto? «Sembra sia stata chiusa ieri», ripetono spesso le persone che vi entrano. Ma in realtà il Cottolengo di Bioglio (di proprietà della sede torinese del Cottolengo) è stato chiuso ben prima: nove anni fa si sono trasferiti altrove gli anziani che vi risiedevano (fino a sessanta), sette anni fa sono andate via le ultime suore (una trentina) e da allora è disabitato. Eppure l’intonaco ancora intatto, la vernice data non più di dieci anni fa e il colpo d’occhio dell’edificio danno l’idea di una struttura ancora sana. Ma cosa si può fare per non perderla del tutto?

Il sogno. L’ipotesi più affascinante è quella che il sindaco di Bioglio Stefano Ceffa ha proposto ai sindaci dei comuni limitrofi quest’estate. «L’idea - spiega - sarebbe di trasferire lì tutte le scuole materne, elementari e medie della zona. Oggi tutti i paesi faticano ad avere i numeri per andare avanti e sono obbligati a ricorrere alle pluriclassi. Il Cottolengo è un’opportunità. Non è obbligatorio coglierla, è vero, ma potrebbe diventare una struttura da sogno: immaginate di arrivare fino davanti alla porta con lo scuolabus, chiudere il cancello e permettere ai bambini di giocare in sicurezza, promuovere laboratori e iniziative da svolgere nell’ampio parco. Certo, capisco i sindaci che pensano: “Io ho la mia scuola, perché dovrei trasferirla?”. Ne hanno tutto il diritto, ma bisogna scegliere se occuparci di piccoli orizzonti o se provare a realizzare qualcosa di grande. Il Comune è disposto a qualunque cosa, ma per ora può solo sognare». Il pro di questo progetto è che servirebbero interventi minimi (stimati tra i 250 e i 500 mila euro, anche se un vero studio economico non è stato fatto): per l’impianto idraulico e quello antincendio, e per realizzare le uscite di sicurezza. Il contro è che i soldi per l’acquisto della struttura (due milioni, anche se a Torino sono disposti ad abbassare le richieste fino a 1,5 milioni) non ci sono e bisognerebbe intavolare un discorso di affitto non facile.

Le alternative. Richiedono tutte interventi più costosi (stimati tra i 500 mila e il milione di euro), perché rendono necessaria la creazione di un bagno singolo per ogni stanza. La prima ipotesi è quella di una clinica socio-sanitaria specialistica per malattie o disturbi particolari (ad esempio per problemi psichiatrici o per malati terminali: studi specifici sono già stati fatti da varie associazioni). Il pro sarebbe che una convenzione con l’Asl coprirebbe parte dei costi, il contro che servirebbero altri investitori (che non avrebbero grossi guadagni). Gli altri interessamenti ruotano attorno alla possibilità di riproporre la destinazione originaria di casa di riposo: sarebbe questa volta una casa di lusso, ma darebbe comunque lavoro a molte persone. Oppure c’è l’ipotesi turistica, con la realizzazione di una spa e di un hotel: questa sarebbe la vera scommessa (ma serve un imprenditore coraggioso) e potrebbe innescare un meccanismo virtuoso di collaborazione e promozione del territorio. Anche qui sarebbe un turismo per ricchi, ma aprirebbe nuove prospettive economiche. Nella foto la struttura (Foto Sarcì)

12 novembre 2011

Seguici sui nostri canali