DALLA SVEZIA: PATRIZIA GARZENA

DALLA SVEZIA: PATRIZIA GARZENA
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Katrineholm. Tra le ragioni per cui la Svezia fa notizia sui giornali italiani c’è spesso il discorso del femminismo o delle pari opportunità. Solo in questi giorni il quotidiano Libero riporta qualche dato di quella che viene definita - e si legge tra le righe che non è un complimento - «corsa verso il miglioramento della società». In Svezia, scrive Libero, ci sarebbero già 170 nomi unisex, negozi di abbigliamento con un unico reparto uomo/donna e nella nuova versione dell’Enciclopedia nazionale è entrato il pronome neutro “hen” al posto di quelli “sessualmente connotati” di hon (lei) e han (lui). Che questa società lotti da decenni per eliminare le disparità tra uomini e donne è una verità assodata.

Come ho già scritto in un’altra occasione, citando l’asilo stoccolmese dove i bambini vengono educati a una visione totalmente “neutra” del mondo, l’eliminazione del genere in certi contesti assume i sintomi di una paranoia collettiva e in questo l’ironia di Libero ci può anche stare. Ma per altri aspetti quello che è avvenuto in Svezia rappresenta un modello da cui l’Italia dista ancora anni luce. Nessun media svedese si permetterebbe mai - pena una sollevazione nazionale - di abusare delle immagini del corpo femminile come avviene ogni minuto sulla stampa e sulla televisione italiana. Istituti sociali come l’assegno di paternità che si equivale in tutto a quello di maternità, sono altri esempi di come l’intera organizzazione dello Stato abbia assunto la pari opportunità tra le sue missioni. E non c’è libro di testo, lezione universitaria, protocollo aziendale dove non esista almeno un capitolo, un cenno, un rimando alla questione. Poi, è vero, ci sono pure libri  in cui si sostiene che le differenze uomo/donna sono «una costruzione sociale» e per tanto devono essere sradicate con tutti i mezzi consentiti. Ma si tratta di estremismo. E forse Libero, su questo, non avrebbe molto da imparare…

Patrizia Garzena

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