DALLA SVEZIA: PATRIZIA GARZENA

DALLA SVEZIA: PATRIZIA GARZENA
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Katrineholm. Qualche giorno fa sono stata invitata alla festa dei volontari della chiesa che frequento da quando sono arrivata qui. Ci sono andata con la certezza che mi sarei trovata al massimo con un’altra decina di persone e invece ho scoperto che al pranzo eravamo in cento e che, alla cena della sera prima, il numero di commensali era stato lo stesso. E così la mia sensazione che il volontariato in Svezia non esistesse o fosse ridotto al minino è stata sonoramente smentita. 

I volontari dunque ci sono, sono tanti e lavorano all’interno di un’organizzazione ferrea che, per un qualche strano motivo, li rende di fatto invisibili. A parte le grandi organizzazioni internazionali come la Croce Rossa o certi specifici movimenti svedesi come “Salvate i bambini”, non esiste la miriade di gruppi di volontariato cui siamo abituati in Italia. Il personale volontario viene gestito dalle istituzioni pubbliche o private (comuni, contee, chiesa) che si occupano di assistenza ed è affiancato, con una precisa individuazione delle mansioni e degli orari, ai dipendenti ordinari. E se i volontari sono invisibili, in questo regno della riservatezza che è la Svezia, sono ancora più invisibili quelli di cui si occupano. La diacona, che mi ha fatto buona compagnia per tutta la festa, mi ha raccontato storie tristi che si consumano anche qui sotto la superficie di una società ricca e tranquilla. Esistono forme di povertà che, rispetto alla società italiana, hanno forse una dimensione meno materiale e più “esistenziale”; sono disagi che nascono in primo luogo dalla solitudine, dall’abuso di droga o alcol, dalla malattia psichica o psicologica.  

Patrizia Garzena

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