"Dal Mucrone a Montrèal"

MONTRéAL (CANADA) «Montréal l’abbiamo costruita noi italiani. Fisicamente». Nelle vie della Petite Italie di Montréal, patria storica dell’immigrazione italiana in Canada questa frase viene ripetuta quasi come un mantra. E bastano pochi incontri per capire che non si tratta di retorica: la capitale economica del Québec non sarebbe la stessa città senza il contributo che da un secolo a questa parte hanno fornito les italiens, oggi la più popolosa (300 mila abitanti) e influente comunità di immigrati in una società - quella canadese - che ha fatto della sua multietnicità relativamente compiuta un punto d’orgoglio.
Petite Italie. Oggi la maggior parte degli italiani non vivono più nella “Piccola Italia”, porzione di Boulevard Saint Laurent tra le vie Saint-Zotique e Jean-Talon.
Chi ce l’ha fatta, e sono in tanti, si è comprato una villetta nei sobborghi residenziali come West Island, dove la città diventa subito aperta campagna, oppure sparpagliati in quartieri come Saint Michel, Saint Leonard (dove ha sede il centro culturale “Leonardo da Vinci”), Riviére des Prairies. Però la Petite Italie resta il cordone ombelicale che lega gli italocanadesi di Montréal alla loro patria d’origine. Qui si trova la chiesa di Nôtre Dame de la Defense, dove a messa si va ancora con il vestito della festa sotto lo sguardo di Benito Mussolini, raffigurato in un affresco che celebra i Patti Lateranensi. Qui c’è il più animato mercato della città e alcuni storici empori gastronomici come Milano, dove i gourmet vengono ad acquistare una mozzarella di bufala campana o un buon olio toscano.
Qui soprattutto si viene per il Caffè Italia, bar che sembra uscito dalla provincia degli anni ’50, dove l’unione tra il nostro paese e il Canada è celebrata da un manifesto d’epoca con Gilles Villeneuve che conduce la sua Ferrari ad una delle tante vittorie.
Tutti qui parlano la nostra lingua, dai giovani baristi agli avventori, soprattutto italiani di prima generazione.
Da queste parti i tanti campanilismi del Bel Paese si esaltano e si stemperano allo stesso tempo: tra piemontesi, veneti, calabresi e napoletani gli sfottò sono bonari, il senso di appartenenza prevale sui particolarismi, i dialetti regionali si fondono all’inglese e all’italiano creando una lingua mista.
Basta il tempo di un espresso, degno della miglior torrefazione partenopea, per finire al centro dell’attenzione. La macchina fotografica e l’accento ci identificano come italiani d’Italia, così in pochi minuti ci troviamo nel retrobottega di un’oreficeria a mangiare salame cotto e pane caldo innaffiati da un rosso frizzante.
I padroni di casa sono Sergio e Graziella Porcari, coniugi arrivati da Ticineto Monferrato nel 1977.
«Io mi sento italiano - racconta Sergio, che è stato per 5 anni presidente della Piccola Italia - anzi, potrei dire di avere scoperto qui la mia italianità, nonostante abbia ormai vissuto più anni a Montreal che in Piemonte (Porcari oggi ha 66 anni, quando è partito per il Québec ne aveva 31, ndr). Torno in Italia ogni tanto, ma mi costa fatica: le cose sono molto diverse da quando me ne sono andato, i parenti non ci sono più e gli amici mi sembrano tutti depressi».
In effetti sotto il Tricolore non si respira una bella aria di questi tempi...
«La crisi economica ha toccato anche il Canada - prosegue - soprattutto nel comparto automobilistico, ma guardando all’Europa non possiamo lamentarci, qui si sta ancora bene. Stiamo assistendo ad un nuovo boom delle materie prime, non solo il petrolio dell’Alberta, anche qui in Québec il sottosuolo offre ancora risorse inesplorate».
Ad aiutare Sergio e Gabriella c’è una sprintosissima signora 85enne, Anna Maria Poledro in Marocchino, nata nel 1935 a Balocco ma sempre vissuta tra Biella e Pollone fino al trasferimento in Canada nel 1964.
In fabbrica a Biella. «Ho lavorato per più di 10 anni in una filatura di Pollone che venne poi trasferita a Verrone - ricorda - . Poi conobbi mio marito che lavorava da queste parti già da alcuni anni e, con un po’ d’incoscienza, sono partita». Mentre parla la signora Anna Maria fotografa tutto con il suo Ipad, lo stesso strumento con il quale, ogni giorno, consulta la pagina internet di “Eco di Biella” alla ricerca di notizie sul “suo” Biellese.
La signora è orgogliosa del suo essere attiva e soprattutto “connessa”: «Ci tengo ad essere aggiornata - dice scorrendo le ultime notizie sul sito di ‘Eco’ - e apprezzo molto la scelta del giornale di offrire notizie locali attraverso internet, anche se a volte le cose che leggo mi sembrano provenire da...un altro mondo!».
Si sente “canadese al 100%” però allo stesso tempo tiene molto alle sue origini ai piedi di Oropa: «Il Canada mi ha dato tanto - spiega - lavoro, benessere, una splendida famiglia con due figlie e quattro nipoti. Qui mi sono sempre sentita bene accolta».
«Cosa le manca del Biellese? - chiediamo -. La mia famiglia - risponde - mio fratello, con cui mi sento ogni settimana via computer, mia cognata, i miei nipoti ed i miei cugini. E, ovviamente, il mio Mucrone! Sono tornata a Biella l’ultima volta nel 1998 (mi mostra le foto sull’Ipad, ndr) ma non l’ho quasi riconosciuta. Chissà quanti altri cambiamenti da allora....».
In Italia c’è chi stava quasi per tornare, ma il destino ha voluto diversamente. È il caso di Marino Saragosa, laziale, che dall’altra parte dell’oceano ci è arrivato bambino, con il piroscafo, come gli emigranti di un tempo.
«Era una nave piena anche di croceristi - ricorda - abbiamo toccato tanti porti fino a New York. Il mare era sovente agitato e io riuscivo a malapena a trangugiare qualche bicchiere di latte e zucchero».
Diventato adulto Marino è tornato in Italia per assolvere al dovere del servizio militare: «Pensavo che sarei restato e mi sono messo a cercare lavoro, ma alla Fiat di Cassino c’erano le liste, la burocrazia, i tempi di attesa. Qui in Canada invece il lavoro non mancava, bastava bussare ad una porta e qualcosa si rimediava. Allora sono ripartito».
Marziale Stricagnoli invece, di fiere origini calabresi, trasferendosi sotto la bandiera della foglia d’acero ha cambiato vita. In patria faceva il carabiniere lavorando anche a Roma, in Québec si è trasformato in macellaio, e le sue salsicce hanno allietato più di una cena di compaesani: «Bastava un balcone e una sera d’estate - si illumina - per fare festa attorno ai prodotti semplici della cucina italiana. Anche oggi la nostra comunità è molto unita e amiamo incontrarci spesso».
«Sempre che non faccia troppo freddo - interviene scherzando l’orafo Sergio - perché qui il clima non scherza, anche se negli ultimi anni gli inverni sono diventati più miti. Nel 1975, quando sono venuto a fare il mio primo sopralluogo, ho trovato -28° e tempesta di neve. Pensavo che sarei rimasto qualche mese, al massimo qualche anno. Però mi sono trovato subito bene con la gente del posto, ho deciso di rimanere e, a distanza di 35 anni, credo di aver compiuto una buona scelta».
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Paolo Patrito