DAGLI USA: EMILIO PASCHETTO

DAGLI USA: EMILIO PASCHETTO
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New York. Riprendo a raccontarvi la personalità dell’aeroporto principale di New York (il JFK) partendo da una sorpresa: a scapito di quanto citato talvolta, il nostro aeroporto è solo il quinto negli Usa per traffico di passeggeri (conta la metà circa del traffico di Atlanta). Tranne rare eccezioni, gli aeroporti hanno la personalità della città a cui appartengono: provate a sbarcare a Nuova Dehli e capite ciò che intendo. Evidente qui è il logorio della security, che al JFK appare brusca e affaticata. New York è una città stressata da sforzi “pro security” (potete immaginarne il motivo) ma la stanchezza di una vita in corsa, immerge il JFK in un atteggiamento “falso cortese”, se non talvolta maleducato, sicuramente poco delicato.

Una certa superficialità traspare evidente tra tutti coloro che all’aeroporto lavorano e un logorio abitudinario strappa sorrisi contati qua e là, a beneficio di pochi viaggiatori. I troppi negozi di riviste, gadgets e cibi ipercalorici sanno che il turista non ritorna e perciò, alla cassa, ti chiedono la carta di credito quasi fossero loro i passeggeri indaffarati o con la testa sulle nuvole. La polizia doganale potrebbe metter in soggezione chi per la prima volta sbarca in Usa, chi non è perfettamente anglofono o il morigerato. Per le impronte digitali (perché qui ti scannerizzano le impronte digitali all’ingresso) e per le due domande che l’autorità in divisa enuncia (prima di timbrarti il passaporto), la coda può tardare un’ora e mezza negli orari affollati d’atterraggi internazionali. In bella evidenza è fatto divieto dell’uso di cellulari e appena fuori, col bagaglio in mano, uno slogan ti prende in contropiede, “chiunque vi offra un passaggio auto non dovrebbe farlo: è illegale”, e subito il JFK mette in guardia al distinguo tra taxi legali, car service prenotati e guidatori illegali (spesso truffaldini). Il coraggioso turista che vuole raggiungere Manattan sui binari (per risparmio, via metropolitana) metta in conto l’oretta e mezza e un paio di cambi treno garantiti, senza contare che la linea blu che lo raccoglie al JFK ha carrozze tra le più vecchie e rumorose della città. Il taxi invece può tardare tra i 40 minuti e l’ora a seconda del traffico, a prezzo fisso su Manhattan e la coda per il taxi può esser nulla o di 20 minuti, c’è sempre il solerte urlatore in divisa che cerca di dirigere traffico e passeggeri col compito di capire se esista un ordine. Tutto al JFK fa pensare che i tempi d’oro sian finiti e non ci resta che portare nostalgica pazienza.Emilio Paschetto

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