il ricordo dell'alpinista

"Ciao Cala, chiunque sia passato sulla tua scia, ha respirato il vento"

La scrittrice di montagna Veronica Balocco "scrive" all'amico Carlalberto ‘Cala’ Cimenti travolto e ucciso da una valanga.

"Ciao Cala, chiunque sia passato sulla tua scia, ha respirato il vento"
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Centinaia di persone hanno dato l’addio a Carlalberto ‘Cala’ Cimenti e Patrick Negro, i due alpinisti e sciatori travolti e uccisi lunedì da una valanga sul Sestriere.

 

 

Alle esequie del primo, molto noto tra gli amanti della montagna, sono state stappate birre e bottiglie di spumante fuori dalla chiesa San Restituto, a Sauze di Cesana.

Il ricordo di Veronica Balocco

La giornalista e scrittrice di montagna biellese Veronica Balocco (insieme a Cala Cimenti nella foto)  ricorda così l'amico in un post pubblicato su Facebook che, con la sua autorizzazione, diffondiamo:

Arrivo tardi a chiederti scusa.
Ma forse no, tanto so che mi senti anche da lì.
Ti ho sgridato quella volta. Chissà se te lo ricordi.
I tempi stringevano e tu dovevi consegnare la bozza definitiva del tuo libro. Io avevo preso l’impegno di dare una controllata ai testi, quasi che tu ne avessi bisogno. Ma non andavi avanti a scrivere, perché c’erano sempre una sciata o un volo che ti piacevano di più.
“Cala, dai cavolo, che se no non ce la fai”.
Facevo la maestra, e forse non avevo detto proprio “cavolo”, ma tu ridevi. Ridevi comunque. Poi mi hai promesso che una volta a casa saresti andato avanti. E avremmo finito tutto in tempo.
E infatti, alla fine, è andata così.
Per noi umani qualunque, star dietro alla tua carica esplosiva era difficile. Non perché non fosse bellissimo. Ma perché nessuno di noi aveva fiato abbastanza.
Io credevo con quei finti rimproveri di rimetterti in fila per due. E invece davi uno spintone fuori dalle righe anche a me. E mi catapultavi nella dimensione in cui tutto, anche le cose più serie, diventavano un gioco senza mai perdere d’importanza.
L’ultima notte prima della consegna finale, mi hai mandato gli ultimi testi che era quasi l’alba. Io avevo chiuso l’ultimo file alle due del mattino, poi mi hai detto di andare a dormire e di pensarci il giorno dopo.
“Agli artisti concederanno una mezza giornata in più, no? 🙂”. Così mi avevi scritto.
E che dirti? Avevi di nuovo ragione.
Alla fine, con quella ciliegina delicata che solo una Donna come Patata poteva posare sul tutto, il lavoro è diventato il libro che sappiamo. Tu eri bravo non solo a sciare. Non solo a scalare. Non solo a sognare. Non solo a sorridere. Non solo a contagiare. Non solo a dare. Eri bravo anche a scrivere.
Io l’ho ammesso fin dal primo momento, quando mi hai chiesto un parere spassionato, con il cuore. Ti ho detto in faccia quel che non mi convinceva, ma ti ho chiarito fin da subito che a non convincermi era quasi niente. In fondo tenevi pur sempre nel cassetto, tra mille e mille frammenti di una vita a manetta, la tua laurea in Lettere. Anche se sfido, oggi, a trovare qualcuno che lo sapesse.
Quel grande lavoro di ricordi ed emozioni, pagine e pagine di vita vissuta davvero, era difficile per chi non è del mestiere. E tu l’hai fatto in un modo che ti ha reso ancor più grande. Perché ha aggiunto una faccia al poliedro che già eri. Senza cambiarti in niente. Da quel giorno della consegna, io ho smesso di far la mia parte e ho lasciato la palla a te. Perché la scena era e doveva essere solo tua. E tu sapevi perfettamente come gestirla.
Ognuno affronta il dolore a modo suo. Sembra retorica banale, ma è così. In questi giorni mi sono assopita. Come anestetizzata. Che ci si vedesse di frequente, che invece fosse un momento di silenzio, come nelle amicizie succede normalmente, tu per me eri sempre tu.
Famoso e ormai proiettato alle soddisfazioni che ti eri meritato, ma sempre tu. Identico a quel ragazzo sconosciuto che aveva sceso il Manaslu con gli sci e che io avevo seguito nei contatti con la stampa. Ma mica per volontà tua. Che tu forse nemmeno ci avresti pensato.
In ogni caso, lo dico adesso anche se di sicuro lo sapevi, è stata una fortuna che qualcuno ci abbia presentati. Perché da quel momento sei entrato nella mia vita esattamente con la stessa forza con cui hai sceso le montagne più alte del mondo, con cui hai travolto migliaia di persone, con cui hai stretto amicizie in ogni dove, con cui hai combinato tutte le tue avventure.
La stessa forza con cui hai amato Erika.
E Alice.
Col tempo ho capito che non poteva non essere così.
Tu eri un arcobaleno di fiori, una scossa di terremoto, una palla di neve in pieno volto. Chiunque sia passato sulla tua scia, ha respirato il vento. Ha giocato con gli attimi. Ha trovato un sollievo.
Io ti chiedo scusa per non essere stata mai all’altezza di tutto questo.
Ma ti ho voluto bene davvero.
Come tutti.
Ti lascio senza altre inutili parole, tanto ci parleremo ancora mille e mille volte.
Per ora ti rimando solo il messaggio che ti ho scritto un anno fa, per il tuo compleanno. Vale ancora sempre, anche se ora stai alzando neve dove non riesco a vederti.
“Ti auguro di vivere sempre una vita intensa, forte e folle come è stato finora, e di trovare sempre le tue personali cime. Le cose davvero importanti che resteranno per sempre nel cassetto.
Ti auguro di godere di ogni attimo, di amare sempre Erika con l’allegria di un bambino, di non perdere mai di vista i tuoi obiettivi e di saper sempre fare dei tuoi sogni un punto di arrivo”.
Fai il bravo lassù.
Anzi no.
Non farlo, Amico mio.
❤️
Ti dico solo Grazie.
Veronica
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