Biverbanca, cessione ad Asti a rischio

Biverbanca, cessione ad Asti a rischio
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La cessione del controllo di Biverbanca alla Cassa di risparmio di Asti per 203 milioni è a forte rischio: può saltare. Lo sanno a Siena, lo sanno ad Asti, lo sanno a Biella. E i sindacati sono fortemente preoccupati per conto degli oltre 750 dipendenti dell’istituto di credito biellese. La “grana” delle quote  detenute da Biverbanca in Bankitalia (è il decimo azionista  con il 2,1% del capitale della banca centrale)  è il detonatore di una bomba ad orologeria che ha i giorni contati. Il Monte dei Paschi di Siena, primo azionista Biver con il 60%, ha deliberato il 28 agosto la scissione  di quelle quote, condizione che aveva posto per cedere il controllo di Biver a CrAsti. Ora tocca al consiglio di amministrazione di Biverbanca, convocato per domani: il cda potrebbe fare la stessa cosa, forte di una maggioranza di consiglieri targati Mps, presidente compreso. Ma i conti sono stati fatti senza l’oste, rappresentato dalle due fondazioni territoriali, CrBiella e CrVercelli, che detengono insieme il 40% di Biver e che hanno deliberato la loro posizione contraria a spogliare la banca di riferimento delle quote Bankitalia. E, a questo punto, la questione non è maggioranza o minoranza: legge e statuti parlano chiaro: per “scindere” le quote di Bankitalia ci va l’unanimità dei consensi degli azionisti. Unanimità che non c’è. A nulla è valsa la “toccata e fuga” dell’amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola, il 21 agosto a Biella: Luigi Squillario e Fernando Lombardi, presidenti rispettivamente di Crb e Crv, non si sono convinti della bontà dell’operazione. 

L’ad Viola, pochi giorni dopo l’incontro con fumata nera di Biella, al Sole 24 Ore del 31 agosto ha dichiarato: «Serve l’ok dei consigli di amministrazione delle società coinvolte e poi sarà l’assemblea di Biverbanca con il voto determinante delle Fondazioni di Biella e Vercelli ad approvare lo scorporo della partecipazione in Bankitalia. Siccome questo passaggio è clausola sospensiva del contratto di vendita del nostro 60% di Biverbanca alla Cassa di risparmio di Asti, spero che prevalga il buon senso». Un buon senso a cui si è sempre richiamata la Cassa di risparmio di Asti, che tuttavia non intende entrare nel merito di una faccenda che riguarda gli azionisti di Biverbanca.  Asti ha già dato il via ad un aumento di capitale da 80 milioni di euro per il 2013, proprio per affrontare serenamente l’operazione-Biver. E alla domanda su come  andrà a finire se  le quote Bankitalia resteranno in Biverbanca, la risposta  è: «No comment».

«No - dice Luigi Squillario, Crb - non abbiamo cambiato opinione. E non regge la tesi sbandierata da Mps secondo cui partecipando all’impoverimento della banca, privandola di un asset patrimoniale che potrebbe valere circa 200 milioni di euro, ne sarebbero comunque beneficiarie le fondazioni. Al di là del fatto, certificato dai nostri consulenti, che l’operazione non sta in piedi nè dal punto di vista giuridico nè dal punto di vista fiscale, resterebbero ancora da affrontare il merito e l’interesse economico. Francamente e senza calpestare gli interessi di nessuno, per noi è certamente preferibile avere una banca ben patrimonializzata, che una fondazione più ricca. Gli stessi stake holder, coi quali ci siamo consultati, dalla Diocesi alla Camera di commercio, dai Comuni alla Provincia, sono su questa posizione».  Secondo Squillario nessuno ha esternato un “Piano B” alternativo. Il presidente Crb è laconico: «Si potesse scindere la sola quota Bankitalia corrispondente alla proprietà Biver del Monte dei Paschi saremmo anche d’accordo, ma non pare possibile tecnicamente e legalmente. In ogni caso  bisognerebbe riprendere in mano il contratto di cessione e ripartire da capo. Con quella clausola in piedi la questione non può essere risolta a due, il tavolo si deve allargare a quattro e con buon senso si potrebbe arrivare ad una soluzione che tutela gli interessi di tutti».

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