Trump e Putin? «Vogliono fare fuori l’Europa»
BIELLA - Dalla guerra del Golfo alla disgregazione dell’ex Jugoslavia, dall’Afghanistan al dopo guerra in Iraq fino alla rivoluzione in Libia. La voce di Pino Scaccia (Giuseppe Scaccianoce), ex inviato del Tg1, ci ha raccontato gli avvenimenti più importanti degli ultimi 30 anni della storia moderna. Alcuni suoi “colpi”, hanno segnato l’evoluzione del giornalismo di guerra: è stato il primo reporter occidentale a entrare, dopo il disastro, nella centrale di Cernobyl, ha scoperto per primo i resti di Che Guevara in Bolivia e ha mostrato le immagini dell’Area 51 nel deserto del Nevada. Grazie ai suoi puntuali racconti di guerra, ha vinto il premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi e Paolo Borsellino. Il giornalista sarà in città oggi (Libreria Vittorio Giovannacci, ore 18) e domani (incontro con gli studenti dell’Istituto superiore “E. Bona”), in occasione della presentazione di “Soldato Salza Renato, l’eroismo e l’umiltà” di Anna Raviglione, cui Scaccia ha dedicato la prefazione. Il libro racconta la storia di Renato Salza, originario di Occhieppo, partito nel 1941 con la divisione “Sforzesca” per il fronte greco-albanese e successivamente, nel 1942, per la campagna di Russia, inquadrato nell’Armir. A Natale di quell’anno, Salza viene catturato e internato nel campo di concentramento 54/4 di Kamenka, dal quale rientrerà nel 1946. Scaccia, lei ha raccontato per molti anni le guerre e le drammatiche storie di chi le vive. Qual è l’unicità della storia di Renino?«In realtà, non c’è unicità perché le guerre si somigliano tutte e così anche le storie. Cambiano solo i contesti, o gli episodi, ma i racconti non possono che riguardare sempre indicibili sofferenze o infinite tristezze».Quali sono i meriti della scrittrice?«Il grandissimo merito di Anna Raviglione riguarda l’approccio. Il mettersi a disposizione per raccogliere la testimonianza e ovviamente anche quella di stimolarla. Non è semplice. C’è sempre molto pudore ad aprire il cuore a ricordi dolorosi, intimi».Oggi non si rischia di svuotare il “fare memoria” del suo significato più profondo, trasformandolo in formale commemorazione?«Fare memoria è esattamente quello che ha fatto l’autrice: riportare a galla un percorso di vita che merita di essere ricordato, direi tramandato, senza alcuna commemorazione, senza neppure giudizi storici ma semplicemente attivando il filo che lega generazioni diverse».Con l’avvento dei social network e l’accesso diretto alla rete sempre più diffuso per un numero sempre più alto di persone, com’è cambiato il ruolo di reporter di guerra?«Paradossalmente il mondo è diventato più povero perché i testimoni sono sempre meno. È tutto diventato superficiale, molto spesso manipolato, troppe notizie gridate e mai approfondite, analisi che nascono dietro uno schermo e non sul campo, una verità sempre di parte».Da grande conoscitore della Russia, quali scenari si aprono dopo l’intervento degli USA in Siria?«L’intervento, non rilevante sul piano militare, è devastante politicamente. Ci saranno magari parole grosse ma, come ai tempi della guerra fredda, non si andrà mai a uno scontro diretto. Anche perché Trump e Putin, in fondo, perseguono lo stesso obiettivo: annientare l’Europa».Luca Rondi
BIELLA - Dalla guerra del Golfo alla disgregazione dell’ex Jugoslavia, dall’Afghanistan al dopo guerra in Iraq fino alla rivoluzione in Libia. La voce di Pino Scaccia (Giuseppe Scaccianoce), ex inviato del Tg1, ci ha raccontato gli avvenimenti più importanti degli ultimi 30 anni della storia moderna. Alcuni suoi “colpi”, hanno segnato l’evoluzione del giornalismo di guerra: è stato il primo reporter occidentale a entrare, dopo il disastro, nella centrale di Cernobyl, ha scoperto per primo i resti di Che Guevara in Bolivia e ha mostrato le immagini dell’Area 51 nel deserto del Nevada. Grazie ai suoi puntuali racconti di guerra, ha vinto il premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi e Paolo Borsellino. Il giornalista sarà in città oggi (Libreria Vittorio Giovannacci, ore 18) e domani (incontro con gli studenti dell’Istituto superiore “E. Bona”), in occasione della presentazione di “Soldato Salza Renato, l’eroismo e l’umiltà” di Anna Raviglione, cui Scaccia ha dedicato la prefazione. Il libro racconta la storia di Renato Salza, originario di Occhieppo, partito nel 1941 con la divisione “Sforzesca” per il fronte greco-albanese e successivamente, nel 1942, per la campagna di Russia, inquadrato nell’Armir. A Natale di quell’anno, Salza viene catturato e internato nel campo di concentramento 54/4 di Kamenka, dal quale rientrerà nel 1946. Scaccia, lei ha raccontato per molti anni le guerre e le drammatiche storie di chi le vive. Qual è l’unicità della storia di Renino?«In realtà, non c’è unicità perché le guerre si somigliano tutte e così anche le storie. Cambiano solo i contesti, o gli episodi, ma i racconti non possono che riguardare sempre indicibili sofferenze o infinite tristezze».Quali sono i meriti della scrittrice?«Il grandissimo merito di Anna Raviglione riguarda l’approccio. Il mettersi a disposizione per raccogliere la testimonianza e ovviamente anche quella di stimolarla. Non è semplice. C’è sempre molto pudore ad aprire il cuore a ricordi dolorosi, intimi».Oggi non si rischia di svuotare il “fare memoria” del suo significato più profondo, trasformandolo in formale commemorazione?«Fare memoria è esattamente quello che ha fatto l’autrice: riportare a galla un percorso di vita che merita di essere ricordato, direi tramandato, senza alcuna commemorazione, senza neppure giudizi storici ma semplicemente attivando il filo che lega generazioni diverse».Con l’avvento dei social network e l’accesso diretto alla rete sempre più diffuso per un numero sempre più alto di persone, com’è cambiato il ruolo di reporter di guerra?«Paradossalmente il mondo è diventato più povero perché i testimoni sono sempre meno. È tutto diventato superficiale, molto spesso manipolato, troppe notizie gridate e mai approfondite, analisi che nascono dietro uno schermo e non sul campo, una verità sempre di parte».Da grande conoscitore della Russia, quali scenari si aprono dopo l’intervento degli USA in Siria?«L’intervento, non rilevante sul piano militare, è devastante politicamente. Ci saranno magari parole grosse ma, come ai tempi della guerra fredda, non si andrà mai a uno scontro diretto. Anche perché Trump e Putin, in fondo, perseguono lo stesso obiettivo: annientare l’Europa».Luca Rondi