La biellese Martina Rebecca "canta" il Festival di Sanremo nella lingua dei segni
Martina Romano, sorda dall'età di due anni, è fra i traduttori scelti dalla Rai per tradurre in diretta su Rai Play le canzoni del Festival nella lingua dei segni LIS
Questa sera al Festival di Sanremo sul palco del Teatro Ariston il frontman delle Vibrazioni Francesco Sarcina aveva alle sue spalle un interprete particolare, Mauro Iandolo, di Nettuno, che in diretta traduceva la sua canzone nella lingua dei segni (LIS) per i sordomuti. Ma non tutti sanno che tutte le canzoni del Festival sono "tradotte" o meglio "cantate" nella lingua dei segni da una pattuglia di traduttori sordomuti o sordi, come la biellese Martina Rebecca Romano, 26enne biellese sorda dall'età di due anni, che Eco di Biella ha intervistato.
Martina Rebecca Romano "canta" il Festival di Sanremo per i sordi
Martina, diplomata al Liceo Tecnologico di Biella, durante l'Università si era distinta per un progetto radiofonico rivolto alle persone sorde. Ci racconta la sua storia e come è arrivata a essere scelta dalla Rai per questo delicato e affascinante incarico.
Martina tu sei nata a Vercelli, ma a Biella vivi da sempre, dall'età di quattro anni. Giusto?
"Si. Con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Biella quand'ero molto piccola. Infatti a soli due anni i miei genitori si sono accorti che ero diventata sorda e che di conseguenza stavo iniziando a non parlare più. Così hanno scoperto l'esistenza di un centro specializzato a Cossato, che da anni porta avanti un progetto che prevede di integrare i bambini sordi nella scuola "comune", formando un gruppo di alunni non udenti che imparano la Lis e di alunni udenti, che imparano la Lis come seconda lingua".
Tu non sei nata sorda. Cosa ha causato la tua sordità?
Come è proseguita la tua esperienza negli studi?
"Mi sono diplomata al liceo tecnologico dell'Itis di Biella e sono perito chimico. Subito dopo mi sono iscritta allo Iulm di Milano dove mi sono laureata con la triennale. Poi, dopo una breve parentesi in Cattolica, per una specialistica sull’ambiente, sono tornata allo Iulm per la magistrale in Marketing e comunicazione".
Tu sei stata tra le artefici del progetto di Poli.radio. Di cosa si tratta?
«Po.Lis, sentire con gli occhi, era un progetto dell’Università. Sono stata coinvolta da una mia amica. Si trattava di una visual radio capace di parlare a tutti. Ogni puntata trattava di un argomento e spaziava dai film, ai libri alle serie Tv. Poi per vari impegni degli studenti il progetto è terminato».
Ora sei tra gli interpreti nella lingua dei segni delle canzoni del Festival. E’ la tua prima esperienza in questo campo?
"A dire il vero no. Quando ero piccolina ci hanno portato allo Zecchino d’Oro e interpretavamo le canzoni dei bimbi. Poi siamo stati anche ospiti di un programma portato avanti da Giovanni Rana. Quest’esperienza in Rai è nata per caso. Una mia amica è venuta a sapere di un casting e così vi ho partecipato. La prima audizione è stata a inizio dicembre. Poi, poco prima di Natale ho ricevuto una videochiamata in cui mi annunciavano che ero stata presa».
C’è qualcuno a cui desideri dire grazie?
«Sicuramente ai miei genitori. Mia mamma mi ha aiutato tantissimo da piccola quando, una volta sorda, avevo anche problemi con il linguaggio. Così è venuta anche lei dalla logopedista e facevamo lezione insieme. E poi un grazie speciale a mia sorella Francesca. Lei è udente ma ha imparato la lingua dei segni. Mi ha aiutato moltissimo nell’interpretazione dei testi delle canzoni. Un aspetto fondamentale per chi svolge il ruolo di interprete».
Per il Festival è la prima volta che viene data l’opportunità ai non udenti di seguire la kermesse grazie a RaiPlay. Come si articolerà il tutto?
«Ora siamo a Roma per le prove e per imparare le canzoni, che sono davvero tante. Poi durante il Festival la Rai ha messo a disposizione uno studio "virtuale" qui nella Capitale e, mentre i cantanti si esibiranno, noi li "doppieremo" nella lingua dei segni»
In quanti siete?
«Siamo 13 interpreti di professione e tre non udenti. Il tutto con una forte percentuale di quote rosa»
Pensi che questa esperienza si possa tramutare in un lavoro?
«Non lo so. Certo che mi piacerebbe, anche se il mio sogno è quello di poter creare un progetto in cui persone discriminate per vari motivi, siano essi sociali, economici o fisici, possano essere inserite nelle aziende anche con compiti manageriali. Se poi potessi abbinare il lavoro in Rai al mio sogno sarebbe il top».
Quante ore provate negli studi di Roma?
«Tutti i giorni dalla mattina alla sera. E’ un’esperienza unica»