Forno degli orrori: chiusa l'inchiesta, undici gli indagati
Formulato il capo d'imputazione. Sette famiglie parti offese per le bare di zinco gettate tra i rifiuti.
Forno degli orrori: chiusa l'inchiesta, undici gli indagati.
Undici indagati
Chiusa l’inchiesta sullo scandalo del forno crematorio. Alla fine sono undici gli indagati per i quali la Procura della Repubblica con il testa il procuratore Teresa Angela Camelio, chiederà il rinvio a giudizio. Sono i due fratelli Alessandro e Marco Ravetti, il padre Roberto, titolare dell’impresa di funebre il cui legame con le attività della Socrebi è ampiamente documentato, la moglie di Alessandro, Alessandra Barbera Fortunato, un dipendente di Seab e sei dipendenti Socrebi. Gli indagati - avvisati all’inizio della scorsa settimana della chiusura delle indagini - hanno ora venti giorni di tempo per presentare eventuali memorie o chiedere di essere interrogati. Il fascicolo passerà quindi nelle mani del giudice. Le indagini sono state condotte dall’aliquota carabinieri della Sezione di Polizia giudiziaria che lavora in Procura ed è coordinata dal luogotenente Tindaro Gullo.
Le accuse
Le accuse più gravi per gli undici indagati riguardano la dispersione delle ceneri. In tutto i carabinieri, rimasto appostati per giorni e giorni, ne hanno recuperati per 325 chili totali oltre ad ossa e residui umani. I militarti hanno tolto le prove dai cassonetti, a volte sostituendo la cenere con della sabbia per non destare sospetti, prima che l’incaricato della Seab poi finito sul registro degli indagati, potesse farle sparire in cambio - stando all’accusa - di denaro. Le ceneri erano state affidate alla consulente della Procdura, Cristina Cattaneo, che aveva confermato nelle settimane scorse che si trattavano in effetti di resti umani.
Lo zinco tra i rifiuti
Stando al capo d’imputazione formulato dalla Procura e relativo all’accusa di violazione di sepolcro, nel periodo compreso tra il 25 settembre e il 26 ottobre scorsi, con la Socrebi sotto la lente d’ingrandimento dei carabinieri che avevano piazzato numerose telecamere, erano state accertate quattordici bare aperte per togliere i resti dal rivestimento di zinco e risparmiare così in energia e in tempo nel processo di cremazione nonostante le famiglie avessero pagato per avere il servizio per intero. Da qui l’accusa di truffa da parte di sette familiari dei defunti che hanno pagato di più e hanno subito presentato denuncia. Si calcola che, nei due anni in cui la Socrebi ha operato, sarebbero stati smaltiti in modo illegale qualcosa come sedicimila chili di zinco e di altri materiali, con il costo che sarebbe andato a gravare sulle casse comunali. L’accusa, in questo caso, potrebbe essere di truffa ai danni dello stato.
C'è anche il falso?
Per quanto riguarda la pratica delle doppie cremazioni, nel capo d’accusa vengono definiti tre casi che sono stati documentati da filmati e testimonianze. Alcuni imputati dovranno altresì rispondere di falso in quanto, per gestire la situazione, sarebbero stati falsificati dei registri con cambi di orari con i comuni da cui provenivano le salme, Biella in testa, nel mirino.
V.Ca.