Unesco, per Fabriano è stata una sveglia

Il marchigiano Ottaviani racconta, dopo 5 anni, i benefici del riconoscimento.

Unesco, per Fabriano è stata una sveglia
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«Biella? Fa benissimo e tentare l’avventura Unesco. Per noi di Fabriano è stata una sveglia. Biella deve farlo. Nel 1200 i lanaioli facevano parte delle corporazioni dei Comuni, da voi come da noi. Poi, voi avete sviluppato il tessile facendone un’eccellenza e noi le tecniche di macerazione delle fibre per la carta. La crisi ha spazzato via molto di tutto questo e per noi il timbro Unesco è stata una idea vincente, un valore aggiunto per tentare di far rinascere l’economia e dando più identità al territorio. Con un’avvertenza...».

Quale?
«Che il processo è positivo solo se viene condiviso da tutto il territorio».
Marco Ottaviani, presidente della Fondazione Carifac (Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana) nelle Marche, oggi a Biella ha raccontato l’esperienza di “Fabriano città creativa”. La fondazione bancaria che presiede ha come punto di riferimento un’area della provincia di Ancona di 11 Comuni per circa 70mila abitanti con epicentro la città di Fabriano di 32mila abitanti. Un’area ricchissima fino al crollo del cosiddetto settore del “bianco”: cinque gruppi imprenditoriali (Indesit, A. Merloni, Ariston, Elica e Franche) fatturavano pre crisi oltre 8 miliardi di euro. Poi, la concorrenza cinese e non solo ha devastato quest’area manifatturiera che era nota soprattutto per le sue arti storiche legate alle cartiere del Poligrafico: migliaia sono stati i disoccupati tutti in un colpo.

Che fare?
«Era il 2010 quando abbiamo deciso, prim’attore la Fondazione Merloni, di tentare la scalata Unesco. Si trattava di reingegnerizzare le opportunità del distretto metalmeccanico, spingendo l’acceleratore sugli aspetti culturali, sulle radici e le tradizioni. Il tutto nell’ottica di favorire un processo di coesione sociale dando vita a nuove attività. Siamo partiti da una piattaforma, dalla sua condivisione con i Comuni e gli enti privati sociali e non per giungere ad una visione che riallineava idee e strategie comuni».

Poi è arrivata la candidatura?
«Sì, e nel 2013 il riconoscimento Unesco. E oggi abbiamo raggiunto l’obiettivo di diventare i coordinatori del “Cluster Città creative” che ci ha consentito di organizzare il summit delle 180 città creative Unesco del mondo che si terrà a giugno a Fabriano, ma che coinvolgerà anche le altre “sorelle” marchigiane, da Pesaro città della Musica, a Recanatio città di Leopardi a Macerata, nell’ottica della rete e della comunità tutta».

In cinque anni quali risultati?
«L’orizzonte temporale è ancora limitato, ma abbiamo lavorato su identità ed economia, dopo aver registrato, con uno studio del Politecnico delle Marche, la buona accoglienza dell’operazione da parte della popolazione. Fondazioni private e Comuni hanno messo in campo alcuni progetti di start up creative che proprio a giugno inaugureremo. Abbiamo recuperato strutture in disarmo come “Le Conce”, 3800 metri quadrati di storia decadente dove nel 1500 si lavoravano gli stracci per la carta e poi le pelli. Qui si svilupperanno un co-working col Comune e una scuola che rinnova la “carta a mano” innervata di innovazione 4.0 con studi sulla nanocellulosa in partnership con l’università di Camerino e puntando su una start up di giovani. Realizzeremo anche un’esposizione permanente di Egardo Mannucci e Quirino Ruggeri, due dei nostri più importanti artisti».

Iniziative che danno speranza al territorio?
«Che danno il senso di un distretto in movimento, da riscoprire innanzitutto, ma poi da riproiettare nel mondo. E qui sta il valore aggiunto del timbro Unesco che ti connette con una rete di 180 città omologhe, fra cui - per dirne una - metropoli cinesi da oltre 10 milioni di abitanti».

E’ stato anche un volano per il turismo?
«Per accompagnare il rilancio del “brand Fabriano” abbiamo realizzato un festival annuale dal titolo “Poiesis” e un altro evento dal titolo “Rinasco - Appennino dopo il terremoto”. Possiamo dire che l’insieme delle cose ci ha aiutato anche dal punto di vista dell’accoglienza. Ma certo il turismo è un percorso che ha necessità di tempi ben più lunghi di consolidamento. Però sappiamo che territori a voi più vicini, come le Langhe, hanno registrato anche grazie al marchio Unesco in un decennio un +60% molto significativo per l’economia».

Che consiglio dà a Biella?


«Avanti tutta. Ricordando che dopo l’entusiasmo iniziale bisogna mantenere alta la tensione e mai mollare il processo di coinvolgimento generalizzato della vostra gente».
Roberto Azzoni

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