Proposta di legge Daga: l'acqua torna ai Comuni?
La proposta di legge Daga mira a rivoluzionare la governance dell'acqua. Le critiche di Ato2: “Si torna indietro di 30 anni”.
Un passo indietro, che rischia di vanificare 30 anni di sforzi per rendere più efficiente la gestione delle risorse idriche. Questa in sintesi la critica che Ato2 – l’organismo che coordina la gestione dell’acqua sul nostro territorio – rivolge alla proposta di legge Daga (Movimento 5 Stelle) sul patrimonio idrico nazionale che si sta discutendo in questi giorni in Parlamento.
L'obiettivo: acqua bene comune
La proposta riprende i principi ispiratori del referendum sull’acqua del 2011, puntando all’obiettivo di “garantire acqua pulita e di qualità in tutti i comuni italiani, 365 giorni all’anno e 24 ore su 24, attraverso una gestione pubblica, partecipata e trasparente che assicuri un uso sostenibile e solidale di questa fondamentale risorsa”.
La gestione dell'acqua ai Comuni
A questo scopo, la proposta Daga rivoluziona la governance dell'acqua, prevedendo che il servizio idrico torni ad essere gestito dagli enti locali, direttamente o attraverso le ‘aziende speciali’ (gli enti strumentali che hanno sostituito le vecchie ‘municipalizzate’). E di conseguenza si stabilisce la decadenza immediata (entro il 2020) di tutte le concessioni affidate a terzi mediante gara, e il ritorno nelle mani dei Comuni di tutte le società che attualmente gestiscono il servizio.
Questo principio ha scatenato forti opposizioni: non solo, come prevedibile, da parte degli attuali gestori ma anche dei sindacati - che temono un crollo di investimenti e la perdita di posti di lavoro - e dei diretti interessati, gli enti locali. Sul nostro territorio, forte preoccupazione è stata espressa da Ato2 - l’autorità d’ambito che coordina il servizio idrico di Biellese, Vercellese e Casalese - che contesta la ratio della norma: “Ritornare al modello dell’Azienda Speciale gestita direttamente da Enti locali - si afferma in un documento sottoscritto all'unanimità dagli enti locali aderenti - porterebbe il servizio idrico in un impasse per anni, con un danno incalcolabile sugli investimenti che, ricordiamo, sono un volano importante per l’economia del territorio”.
La 'trappola' dei costi
Senza contare i costi, sia per riportare le società in mano pubblica (operazione che dovrebbe essere finanziata da un apposito Fondo Nazionale presso il Ministero dell’ambiente), sia per far fronte a penali e risarcimenti derivanti dalla fine anticipata di tutte le concessioni in atto: costi che, secondo le stime che circolano, potrebbero aggirarsi sui 15 miliardi a livello nazionale. Il rischio è che l’utente si trovi a dover pagare tariffe più alte (si stima un possibile aumento medio del 15%), con la magra soddisfazione di pagare al Comune anziché ad una società concessionaria.
Simona Perolo
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