Chiedono un milione e 850 mila euro di risarcimento allo Stato i genitori e la sorella di Deborah Rizzato, 24 anni, di Cossato, uccisa a coltellate il 22 novembre 2005 davanti alla fabbrica di Trivero dove lavorava, da Emiliano Santangelo, 32 anni, di Carema, che due mesi e mezzo dopo si era suicidato in carcere. Lo annuncia il legale della famiglia Rizzato, avvocato Sandro Delmastro, in quanto - scrive nella richiesta ufficiale presentata al Ministero dell’Interno e alla Prefettura di Biella - «i miei assistiti, più che legittimamente, ritengono che vi sia stata una grave responsabilità dal punto di vista omissivo, da parte della Polizia di Stato in quanto la defunta Deborah Rizzato è stata letteralmente perseguitata ad opera del predetto Santangelo addirittura per dieci anni, nel corso dei quali la povera Deborah ha costantemente presentato denunce in Questura a Biella, oltre a rivolgersi innumerevoli volte agli stessi poliziotti, manifestando ogni volta le paure derivanti dall’atteggiamento violento ed esplicitamente e apertamente minaccioso del Santangelo il quale aveva già usato violenza sessuale nei confronti della giovane ben 11 anni prima dell’omicidio...».
Delmastro lo aveva già annunciato nei mesi successivi il delitto. Era pronto a dar battaglia direttamente allo Stato in quanto - aveva ribadito - «non ha saputo difendere una ragazza che aveva chiesto tante volte aiuto senza mai ottenerlo. E alla fine è stata uccisa proprio da chi avrebbe dovuto essere protetta...».
Nella lettera con la quale chiede al Ministero di pagare i danni ai suoi assistiti, Delmastro formalizza una richiesta da parte dei genitori di Deborah «di 750 mila euro cadauno mentre la sorella avanza richiesta di 350 mila euro...». Il legale biellese, nonché ex parlamentare, invita il Ministero a mettersi in contatto con il suo studio per definire le vertenze e provvedere al versamento delle somme richieste.
Delmastro non ha mai ammesso in modo esplicito l’assenza di adeguate normative che potessero a suo tempo convincere Santangelo a non avvicinarsi a Deborah, come può essere attualmente presa ad esempio la nuova legge sullo stalking, nata sull’onda proprio dello sdegno per il delitto della giovane cossatese. Il legale biellese ha sempre ribadito - e lo precisa anche nella richiesta al Ministero - che già allora il Codice di procedura penale prevedeva limitazioni particolari alla libertà della persona che - spiega - «avrebbero certamente dovuto e potuto essere assunte» e che - a suo dire - «avrebbero potuto consentire, forse, di evitare il tragico epilogo». Per il legale, le misure disposte dal Codice, «erano certamente in grado di costituire un fondamentale deterrente che avrebbe potuto determinare nella mente di Emiliano Santangelo il convincimento di non poter continuare a percorrere la strada della persecuzione contro Deborah senza conseguenze».
Delmastro cita inoltre l’allora ministro della Giustizia, Roberto Castelli, il quale, poche ore dopo l’omicidio, rilasciò, durante il programma di approfondimento “TV7”, andato in onda su Rai Uno, una chiara dichiarazione che venne poi ripresa da tutti i quotidiani nazionali e dalle tivù. «Lo Stato - dichiarò Castelli - chiede scusa alla famiglia di Deborah perché non è stato capace di proteggerla...». Il Guardasigilli ammise «che in materia c’è un vuoto legislativo che va al più presto riempito con leggi giuste, non figlie d’un eccessivo garantismo, in quanto è necessario fermare queste persone. I criminali devono restare in galera...». La legge - per qualcuno forse migliorabile - ora c’è e viene applicata con cadenza quasi settimanale. Per l’avvocato Delmastro, la dichiarazione di Castelli aveva sin dal principio rappresentato «un’implicita ammissione di colpa da parte dello Stato...».
Nella richiesta di risarcimento dei danni al Ministero, Delmastro ha evidenziato anche il dramma familiare che i Rizzato sono stati costretti a vivere per anni, alla paura provata in ogni momento, anche solo quando Deborah usciva per pochi minuti per fare una commissione. Il legale fa emergere tutti i disperati tentativi della giovane cossatese «di ottenere un minimo di protezione e quanto scarsa sia stata, a quelle innumerevoli richieste, la risposta dello Stato...». Neppure era mai stata data comunicazione da parte della Questura ai carabinieri di Cossato «ove Deborah - scrive l’avvocato - risiedeva e abitava, malgrado vi fosse persino la “comodità” di avere la caserma a 200 metri dalla casa dei Rizzato...».
Valter Caneparo
16 luglio 2009
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