Il processo al babi e... al centrodestra

Il  processo al babi e... al centrodestra
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(18 feb) Si sa che la satira non ama la destra e che la destra non ama la satira. Ma si sa anche che Beppe Pellitteri, il “vecchio” geniale regista che da ventisei anni anima il processo al babi, e Dino Gentile, il “nuovo” sindaco di Biella in carica da otto mesi, amano la democrazia. E così il tanto atteso processo insidiato dalle domande («sarà ancora Pellitteri il regista?», «la nuova amministrazione ha confermato l'appalto?») ha fugato i dubbi e ha fatto, come sempre, il suo dovere: processare il babi e le magagne, i politici e il politichese, e tutta Biella, bella e morigerata, triste e addormentata, grigia e statica, chimera e ballerina, con il capo chino all'Apocalisse che verrà. Si sa che la satira non ama la destra e che la destra non ama la satira. Ma si sa anche che Beppe Pellitteri, il “vecchio” geniale regista che da ventisei anni anima il processo al babi, e Dino Gentile, il “nuovo” sindaco di Biella in carica da otto mesi, amano la democrazia. E così il tanto atteso processo insidiato dalle domande («sarà ancora Pellitteri il regista?», «la nuova amministrazione ha confermato l'appalto?») ha fugato i dubbi e ha fatto, come sempre, il suo dovere: processare il babi e le magagne, i politici e il politichese, e tutta Biella, bella e morigerata, triste e addormentata, grigia e statica, chimera e ballerina, con il capo chino all'Apocalisse che verrà.
Il processo ha chiuso il carnevale (con il tutto esaurito martedì sera al teatro Sociale) e la storia è sempre la stessa: il babi, rospo vercellese che millanta di essere il più bell'uccello di Biella, insidia la pudica Catlina scatenando le ire del marito Gipin che lo cita quindi in giudizio. C'è il tribunale, presieduto dall'eccellente Malanotte, c'è l'accusa (Ilaria Gariazzo) e c'è la difesa (Beppe Pellitteri), ci sono i cori e i Voceversa (ospiti della serata) e poi ci sono la condanna, il rogo in piazza e le ceneri del babi, che spengono l'allegria del carnevale e accendono la cristiana quaresima.
In teatro si ride, ma non sempre. Sarà che non c'è molto da ridere in questi tempi, sarà che non si può solo ridere. Il sipario si alza sull'amarcord: le fotografie del primo processo, quello del 1984, quando si recitava all'aperto, in piazza Primo Maggio. Ma la prima lacrima è per Tavo Burat al quale viene dedicata la sua canzone.
Pellitteri descrive poi uno spaccato di storia che di comico non ha assolutamente nulla. Questa storia si chiama immigrazione, ha radici lontane, ma è sempre attuale. Scorrono le diapositive che riportano numeri, non chiacchiere: 27 milioni di persone lasciarono l'Italia per emigrare nel mondo tra il 1876 e il 1976. Si canta in dialetto napoletano, in genovese, si ricordano i minatori che morirono oltreoceano, si intona “faccetta nera”, si mima il duce, si legge a caratteri cubitali la relazione dell'ispettorato per l'immigrazione al congresso americano del 1912.
E' questo il grande affondo che Pellitteri fa alla Lega. Alla Lega di Bossi che “inventa” le leggi, a quella di Maroni che le “sbraita”; a quella Lega che è la stessa di Simonetti, presidente della Provincia, e di Silvano Rey, presidente del consiglio comunale, suoi impeccabili portavoce. «Medita, Simonetti – dice il comico –, su quello che disse Quintino Sella: dove c'è lavoro ivi è la patria».
Poi si torna a sorridere (ma non troppo!) con le ronde alcoliche, a ridere di gusto con le apocalittiche previsioni della “Ghitin” di Camburzano e con le sentenze popolari delle signore del babi club del Vernato.
«Le amminstrazioni cambiano e i sindaci passano – dice Pellitteri -; resta però la camminata del piacioni, le mani in tasca e sui...(quelli che fan rima). Anche a te, Donato, che eri già predestinato, dedico questa camminata». La satira pungente di Pellitteri viene recitata dal babi nel testamento che chiude il processo: le promesse dell'assessore Andrea Delmastro che vorrebbe fare di Biella una seconda Parigi, con tanto di Arco di Trionfo e Champs Elysees, gli stravolgimenti della Giachino, la bella addormentata nella città, il fac totum Cianciotta («Cianciotta, basta la parola»), lo spodestato Oraziò Scanziò (alla francese) e poi il significato della parola Biella, trovato su internet: B-iella, due volte sfigata! Il babi, si sa, va al rogo. In questa Biella che muore si “spegne” anche l'ultima fiamma di vita che aveva accesso gli occhi della Catlina e la speranza di chi ancora “canta”, come il babi. E il sorriso si smorza sulle labbra.
Benedetta Lanza
18 febbraio 2010

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