A un anno dalla "morte" delle circoscrizioni

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(20 mar) C'erano una volta i quartieri. Con i loro consiglieri, i loro presidenti che si davano da fare per un semaforo, uno stop, la panchina divelta e le buche nell'asfalto. Non ci sono più perché costavano troppo e non aveva molto senso averne una decina in città poco più grandi di un paese. Spazzati via per legge, tutti d'accordo, destra e sinistra.
C'erano una volta i quartieri. Con i loro consiglieri, i loro presidenti che si davano da fare per un semaforo, uno stop, la panchina divelta e le buche nell'asfalto. Non ci sono più perché costavano troppo e non aveva molto senso averne una decina in città poco più grandi di un paese. Spazzati via per legge, tutti d'accordo, destra e sinistra.
E' stato un bene o un male? Un anno dopo, come si sta senza quartieri? Né meglio né peggio rispondono quasi tutti. I problemi, quelli piccoli per cui una quarantina di anni fa erano sorti i primi comitati spontanei a partire dai quartieri più periferici e dalle frazioni staccate sono rimasti gli stessi e la maggior parte dei cittadini non si è nemmeno accorta del cambiamento.
La fontana non funziona? La pensilina del pullman sta cedendo? Fermano quello che fino all'anno scorso era il presidente e glie lo segnalano. Oppure si rivolgono al consigliere comunale in carica, senza guardare se è stato eletto nelle liste di maggioranza o in quelle d'opposizione. Abita lì, quindi è uno di loro. E poiché può dire la sua in Comune, ci pensi lui.
«Sì, la gente continua a fermarmi, a chiedermi di intervenire per piccole questioni; spiego a tutti che possono rivolgersi direttamente in Comune, gli segnalo l'ufficio o il funzionario competente e bisogna dire che i problemi si risolvono lo stesso» sostiene Ermanno Caneparo, che tutti conoscono come Gipin ma che continuano a chiamano un po' per scherzo e un po' sul serio, "sindaco del Piazzo". Trent'anni fa è diventato il primo presidente del borgo antico e con qualche breve parentesi ha continuato a fare "il sindaco" per sei legislature.
E' fra i pochi a brontolare, convinto che l'abolizione dei consigli di quartiere non sia stata né un bene né un risparmio. «Qualcosa si era fatto: la sistemazione della palestra, quella del campo sportivo, la nuova fontana, le panchine, ma soprattutto si è mantenuto un contatto diretto della gente con le istituzioni, si è frenato, almeno in parte, il decadimento del quartiere - dice -. Il Piazzo è lì da vedere, all'abbandono come il suo famoso parcheggio del Bellone».
All'inizio Caneparo era fra quelli che insistevano per non lasciar cadere del tutto l'esperienza, magari inventandosi nuovi consigli di tipo spontaneo per difendere quel poco di rappresentanza e partecipazione che i quartieri garantivano. «Adesso vedo che si sono rassegnati tutti ed è un peccato perché qualcosa si poteva ancora fare anche se io, vista l'età, non mi sarei più impegnato in prima persona».
E' un sentimento diffuso fra tutti gli ex piccoli sindaci di quartiere, soprattutto fra quelli delle frazioni sparpagliate in collina o oltre il Cervo, che si sentivano e si sentono paese. Lì (a Chiavazza, Cossila, Favaro, Vandorno o Pavignano), molto più che nei quartieri cosiddetti cittadini (San Paolo, Centro, Vernato, Riva) i piccoli consigli hanno rappresentato un momento di democrazia partecipativa e qualche contributo lo hanno davvero dato alla soluzione dei problemi.
Prendiamo Chiavazza che fino al 1926 era comune a sé e ha mantenuto una forte caratterizzazione di centro indipendente. Un paesone di 6.800 abitanti in continua crescita, dove lo sviluppo dell'edilizia popolare ha fatto sorgere problemi anche di carattere sociale. Roberto Prato, l'ultimo pro sindaco di Chiavazza, mandato in pensione dopo 19 anni di impegno (è dirigente di varie associazioni ed è stato anche consigliere comunale), dice di non soffrire troppo della sindrome dell'orfano e di aver anzi tirato un personale sospiro di sollievo quando lo hanno liberato dell'incarico. Ma è anche convinto che il consiglio di quartiere abbia svolto un ruolo molto importante per Chiavazza. «Se molti problemi sono stati risolti, lo si deve al quartiere» sostiene. «All'inizio i consigli incontravano grosse difficoltà, non riuscivano a incidere. Dal ’95 in poi si è cominciato a suggerire, proporre, avere voce. Le assemblee segnalavano, l'amministrazione era facilitata nell'individuare i problemi e nel cercare soluzioni. Qualche esempio: la riqualificazione urbana di regione Croce, gli interventi per la sistemazione idrogeologica dopo le alluvioni del 2002 e del 2004, la realizzazione di due parchi, la sistemazione delle fognature».
E oggi? «Oggi si sente la mancanza di un punto di riferimento di una rappresentatività. Continuo a ricevere richieste, indicazioni anche semplici. Alle gente manca un collegamento diretto che aveva imparato a conoscere, apprezzare e utilizzare. In fondo era l'unico legame con l'amministrazione pubblica. A Chiavazza lo si sente ancora di più perché non abbiamo nemmeno un consigliere a Palazzo Oropa. E dire che ci fu un momento in cui eravamo addirittura in quattro».
Con Ermanno Caneparo, Roberto Prato è forse l'ex presidente di quartiere più amareggiato per la decisione di sopprimere i consigli di circoscrizione. Una decisione, lamentano, «calata dall'alto» e spacciata come un risparmio, un rimedio agli sprechi. Ma anche nei quartieri dove si brontola meno perché c'è il consigliere che si dà da fare e l'isolamento è meno sentito, qualche problema, a partire dall'utilizzo delle sedi per arrivare all'organizzazione dei centri estivi, comincia ad affacciarsi, e qualcuno torna a chiedersi: cosa si può fare?

20 marzo 2010

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