Nesi: «Studiate e viaggiate»

Nesi: «Studiate e viaggiate»
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(6 dic) La voce di Prato e della sua recente storia industriale, tra successi, benessere, declino, orgoglio e rabbia. Dai fatturati stellari alla colonizzazione cinese della città. Edoardo Nesi (foto) ha raccontato in modo mirabile la fine di un’epoca, della sua famiglia, di una parte di sé. Vicende che per molti aspetti ricordano l’orizzonte tessile del Biellese, squarciato dalla crisi. Dal potere dell’eccellenza alla depressione per i telai ammutoliti. Uno shock. L’ha fatto con la penna dello scrittore, ma il cuore e la pancia sono quelli del testimone, del capitano coraggioso cui tocca il destino amaro di veder affondare la propria nave, con il suo equipaggio in balia dei pirati. Parlare con lui è come intervistare un sopravvissuto di un mondo scomparso.
La voce di Prato e della sua recente storia industriale, tra successi, benessere, declino, orgoglio e rabbia. Dai fatturati stellari alla colonizzazione cinese della città. Edoardo Nesi (foto) ha raccontato in modo mirabile la fine di un’epoca, della sua famiglia, di una parte di sé. Vicende che per molti aspetti ricordano l’orizzonte tessile del Biellese, squarciato dalla crisi. Dal potere dell’eccellenza alla depressione per i telai ammutoliti. Uno shock. L’ha fatto con la penna dello scrittore, ma il cuore e la pancia sono quelli del testimone, del capitano coraggioso cui tocca il destino amaro di veder affondare la propria nave, con il suo equipaggio in balia dei pirati. Parlare con lui è come intervistare un sopravvissuto di un mondo scomparso.

- Quando ha capito che sarebbe stato un imprenditore di successo?
«Buffo, non mi sono mai pensato un imprenditore di successo. Per me e per la mia famiglia contava il lavoro, forse anche e persino l’etica del lavoro. Portare avanti la ditta in modo che guadagnasse era una sorta di compito collettivo, nel quale i meriti venivano diluiti e c’era poco posto per sentirsi “imprenditore di successo”. E poi nella mia città, come forse anche nella vostra, la sola definizione di “imprenditore di successo” fa anche un po’ sorridere».

- E uno scrittore, sempre di successo?
«Ho sempre desiderato essere uno scrittore, ma solo da poco ho accettato l’idea di esserlo davvero, di trovare i miei libri nelle librerie di tutta Italia, di poterne parlare senza provare quel brivido di paura e, sì, vergogna, che mi accompagnava, sempre agli inizi, come se scrivere fosse, per me, già un piccolo tradimento. Il successo come scrittore, poi, è sempre relativo, e a chi lo desidera non basta mai. Per fortuna ho imparato quasi subito a non farmene accecare, e a ricordare sempre che il fatto che un libro venda molto non racconta mai granché della sua qualità».

- Imprenditore si nasce o si diventa?
«Si nasce, e lo si è ogni attimo della vita. Lo si può anche diventare, però. E’ una grande, grandissima fatica».

- Scrittori, invece, si nasce o si diventa?
«Si nasce».

- Il primo pensiero del giorno che è andato dal notaio per vendere l’azienda di famiglia?
«L’idea che nel mondo doveva per forza esserci altro, oltre al lanificio Nesi & figli spa. E che era l’ora di farsi coraggio e di scoprirlo. Poi, uscito dal notaio, uno strano stordimento che è durato mesi, quando camminavo per la mia città, e per le grandi città del mondo, più che altro».

- L’ultimo pensiero dello stesso giorno?
«Troppi, tutti insieme. Non mi fa piacere ricordarli».

-Si può essere ex imprenditori? Oppure a Prato la famiglia Nesi sarà sempre quella dell’omonimo lanificio?
«Bella domanda. Non saprei. Ora, certo, sono uno scrittore, ma nessuno a Prato si scorderà mai che ero un imprenditore. Io per primo».

- Ha letto “Acciaio” della biellese Silvia Avallone, finalista al Premio Strega? E’ giusta la sua fotografia della nuova classe operaia?
«Non ho letto il libro, ma me ne hanno parlato molto bene. L’ho anche incontrata, Silvia Avallone, a una trasmissione televisiva, e mi ha fatto un’ottima impressione. Non è facile fotografare gli operai di oggi. E’ difficile farlo senza incorrere in luoghi comuni, e mi sembra che Silvia non lo abbia fatto. Sono una “razza” in continua mutazione, gli operai, le vere vittime insieme ai loro datori di lavoro di questa insensata globalizzazione senza regole che ci è stata presentata come un regalo dorato e invece era una sentenza di dannazione».

- Cosa conosce del Biellese, oltre le aziende tessili?
«Non molto, debbo confessare, al di là della vostra grande tradizione tessile. Con Prato condividete il destino di eccellere in una specializzazione che ne assorbe molte altre. Siete anche la patria della “Menabrea”. Non è poco».

- Biella-Prato, due distretti uniti dal tessile e divisi dal tessile, tra rivalità e punti in comune. Ci odia o ci ama?
«Ora siamo affratellati da un destino crudo contro il quale si deve combattere, ma prima un po’ d’invidia per tutte le vostre superiori finezze, lo ammetto, c’era. Tutte quelle vostre perfezioni... Quell’incensare sempre l’eleganza del freddo pettinato... I vostri cognomi doppi e nobili così diversi dai nostri popolani... Però non c’era mai con voi biellesi quella concorrenza selvaggia che invece c’era con gli altri pratesi: la storia di lotte fratricide che da sempre affascinano noi toscani. La rivalità con Biella rimaneva sullo sfondo. Biella e Prato si guardavano da lontano, senza parlarsi. Oggi penso che forse sia stato proprio quel non volerci unire per provare a fare massa critica a Roma, a metterci in queste difficoltà. Forse bisognava che i nostri padri avessero superato quegli steccati campanilistici e avessero combattuto qualche battaglia comune invece di sentirsi ognuno re del suo giardinetto».

- Quando ha sentito il campanello d’allarme che l’età dell’oro (titolo d’un suo celebre libro) stava per finire?
«Mio suocero Sergio Carpini ha detto che il primo segno fu quando un grande stilista gli chiese il prezzo di un articolo. Il prezzo, non lo sconto. Per me il segno fu la prima volta che tornai dalla Germania senza un ordine importante in borsa».

- Nel sottotitolo del nuovo libro, si definisce industriale di provincia. E’ un difetto?
«No, anzi. E’ un grande pregio. Siamo una razza del tutto diversa dagli altri industriali italiani. Migliore, mi viene da dire ancora oggi. Certo, migliore».

- La globalizzazione non le piace. Perché?
«Per infiniti motivi. Il più importante è l’aver depredato un sistema economico perfettamente funzionante della sua ragion d’essere, tra gli applausi stolti dei nostri grandi economisti e l’ignavia dei nostri politici che li hanno ascoltati».

- L’apertura dei mercati alla Cina, nemmeno. Si doveva evitare?
«Non credo fosse possibile, ma certo si doveva trattare. Non credo che si sia ottenuto tutto ciò che si poteva ottenere. Tessuti cinesi invadono l’Italia, ma sulle strade non ci sono automobili cinesi. Tedesche, francesi, giapponesi, italiane sì, ma cinesi no, o pochissime. Sicuri che le ragioni siano tutte tecniche?»

- L’euro, come sopra. Meglio la cara e vecchia lira?
«L’euro è necessario. Mai detta una parola contro l’euro. Certo, anche qui si poteva fare meglio».

- Eravamo ricchi in un mondo che non c’è più. Cosa non abbiamo capito, a Biella e a Prato?
«Che non potevamo continuare per sempre a produrre gli stessi prodotti. Dovevamo sorvegliare e influenzare meglio il lavoro dei nostri parlamentari europei. E poi che forse era meglio che le nostre aziende crescessero di dimensione e d’ambizione. Il difficile passaggio dal fare tessuti al fare vestiti è stato compiuto da pochi imprenditori, e con maggior successo a Biella che a Prato».

- Centro. Sinistra. Destra, con tutti gli apparentamenti possibili. Chi salva e chi butta giù dalla torre?
«La cosa più divertente e facile da dire sarebbe che ci vuole una rivoluzione. Pacifica, certo, ma profonda, profondissima. Non mi pare che il Pdl faccia una politica che segua i valori del liberalismo, né quelli della destra sociale. La Lega Nord si destreggia furbescamente tra il potere immenso che ha a Roma e le urla secessioniste che ogni tanto fa risuonare al Nord più profondo. La politica del Pd è difficile da capire, soprattutto in economia, e in passato s’è basata su un mondialismo ridicolo e vecchio che ha danneggiato in primis i nostri operai».

- Per chi ha votato l’ultima e la penultima volta?
«A Prato il voto è segreto. A Biella no?»

- Un consiglio utile che cerca di seguire, tutti i giorni?
«Pensare più intensamente che si può».

- Un consiglio che dà ai suoi figli, per il futuro?
«Andare in America a studiare per poi, forse, spero, tornare qui».

- Termina il suo ultimo libro con il racconto di una manifestazione di protesta molto amara, ma non pessimista. Dove bisogna guardare per rinascere?
«Verso un aiuto alle nuove generazioni. Sogno nuove imprese di ragazzi che si affranchino dall’idea di produrre con le macchine, e invece vendano idee. Perché possiamo averne buscate dalla globalizzazione, noi quarantenni, ma non c’è ragione perché i nostri figli non imparino dai nostri errori».

- Concludendo... Ha più soldi in tasca oggi o quando faceva l’imprenditore tessile?
«Ora, ma li spendo con meno piacere».

6 dicembre 2010

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