Aziende ostaggio della burocrazia

Aziende ostaggio della burocrazia
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Un mostro famelico si aggira tra le Pmi? Nome in codice: malaburocrazia. Il che, tradotto nel linguaggio di ogni giorno significa scartoffie, frutto sia di un quasi impossibile dialogo tra due settori che viaggiano con tempistiche differenti sia di un pregiudizio italico durissimo a morire che vede nell’impresa (e nella cultura d’impresa) più un pericolo che non invece un’occasione.
Non è un caso che proprio la semplificazione normativa costituisca il primo dei punti dell’agenda delle cose che Confindustria, ormai da tempo, chiede al Governo. Ma sulla stessa linea confidustriale stanno anche le associazioni rappresentative del mondo artigiano, Confartigianato e Cna.

 Il tema è, inoltre, di strettissima attualità:  il decreto legge sulle semplificazioni, infatti, ha incassato, nei giorni scorsi, la fiducia della Camera con 479 sì (75 i no, 7 gli astenuti) e passa ora all’esame del Senato, dove dovrà essere convertito in legge entro il 9 aprile. Per le imprese, però, c’è poca cosa: nessun provvedimento veramente incisivo nel senso di ridurre la pressione degli adempimenti o, meglio ancora, cambiare in radice il rapporto tra burocrazia e imprese.

Oneri. Prendiamo una piccola media impresa biellese: qual è il grado di onerosità di questo eccesso di burocrazia?
«A conti fatti - spiega il direttore dell’Uib, Pier Francesco Corcione -, per le imprese la tassazione oscilla tra il 50 ed il 55%.  Il tasso totale, tuttavia, se aggiungiamo i contributi sul lavoro e le altre imposte, arriva al 68,6%. Questo significa venti punti più della Germania. Qualcosa di incredibile». Ma questa situazione è resa più parossistica dal numero delle scadenze che l’impresa deve affrontare ogni mese.
«Variano di settore in settore - precisa Corcione - ma superano certamente ogni mese la decina. Solo a marzo, per esempio, sono una quindicina e, quel che è peggio, in date diverse».

Difficoltà. Insomma, la fotografia che se ne ricava è, alla fine, quella di un sistema in cui (secondo i calcoli di Confartigianato) i ceti produttivi  devono sottrarre 36 giorni all’anno alla corrente attività d’impresa per dedicarli alle richieste dei burocrati. Ma in Italia (nonostante una legge sull’autocertificazione) la burocrazia continua a colpire anche nei casi in cui lo Stato dà e non solo quando pretende. Ne sanno qualcosa gli imprenditori che affrontano il calvario  dei   “Click day” o quella della richiesta di agevolazioni. Un esempio? Il Fondo Kyoto. Nato con la Finanziaria 2007 per agevolare investimenti di risparmio energetico, viene attivato solo oggi. Esso concede  finanziamenti agevolati fino al 70% dei costi totali a fronte di una montagna di documenti e di una pletora di circa ben 14 diversi adempimenti. Alla faccia della semplificazione: in cinque anni, non si poteva fare di più?

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