"Mai distogliere lo sguardo dall'Europa"
Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale dell’intervista all’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi realizzata da Ilaria Bersano, studentessa della 1A dell’istituto superiore del Cossatese e Vallestrona, per il giornalino della scuola.
Il presidente emerito della Repubblica ha risposto alle domande il 17 marzo scorso, nel giorno celebrativo dell’unità della Nazione.
Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale dell’intervista all’ex presidente Carlo Azeglio Ciampi realizzata da Ilaria Bersano, studentessa della 1A dell’istituto superiore del Cossatese e Vallestrona, per il giornalino della scuola.
Il presidente emerito della Repubblica ha risposto alle domande il 17 marzo scorso, nel giorno celebrativo dell’unità della Nazione.
- Cavour, dopo la 2ª guerra d’Indipendenza italiana con la conseguente unificazione, disse: «L’Italia è stata fatta, ora dobbiamo fare gli italiani». Secondo lei, dopo centocinquant’anni, gli italiani sono uniti come dovrebbero o ci sono ancora troppe differenze e divari?
«Nel suo libro "I miei ricordi" Massimo d’Azeglio, proprio nelle pagine iniziali in cui dichiara l’origine e lo scopo della sua opera, svolge le considerazioni successivamente riassunte e semplificate nella nota espressione “fatta l’Italia...”. Vale la pena di riprendere quel passaggio poiché a me sembra che esso sia ancora oggi meritevole di riflessione.
“ ...gli Italiani hanno voluto fare un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima... pensano a riformare l’Italia, e nessuno s’accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro.... finché grandi e piccoli e mezzani, ognuno nella sua sfera non faccia il suo dovere e non lo faccia bene, od almeno il meglio che può”.
«Dopo l’unificazione politica occorreva, quindi, intraprendere un’altra azione unificatrice, non meno impegnativa di quella che aveva visto nascere il nuovo Stato italiano. Occorreva intraprendere il cammino lungo e impervio anche per far sì che toscani, lombardi, siciliani, eccetera “imparassero” a sentirsi appartenenti a una unica Nazione e per essa lavorare, mettendo da parte faziosità e particolarismi.
«Bisogna considerare che se questo processo era in qualche misura possibile per le élites culturali e intellettuali, cioè per coloro che in definitiva erano stati gli artefici del Risorgimento, ben diversa era la “percezione” che del nuovo Stato avevano le masse popolari. Il problema era di non poco momento. Voglio ricordare che Vincenzo Gioberti, riecheggiando preoccupazioni non troppo dissimili da quelle del d’Azeglio, si chiede come si potesse ricomporre una Italia che fino al 1861 era stata sì “congiunta di sangue, di religione, di lingua scritta e illustre; ma divisa di governi, di leggi, d’istituti, di favella popolare, di costumi, di affetti, di consuetudini?”.
«D’altra parte alcuni decenni più tardi, Benedetto Croce, a proposito della dibattuta questione del carattere degli italiani, si chiedeva: “Qual è il carattere di un popolo? La sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia”.
«Credo che in questa affermazione di Croce possiate trovare risposte alla vostra domanda circa la presente condizione dell’essere italiani. Questo è un neppure troppo implicito invito da parte mia ad approfondire lo studio della nostra storia, nel suo significato più ampio: storia politica, economica, delle istituzioni, ma anche storia della lingua e della letteratura. Solo nella conoscenza delle vicende del passato, del loro incidere e stratificarsi nella mentalità e nei costumi di un popolo potrete trovare risposte non conformiste alla domanda “chi sono gli Italiani”».
- Lo Stato sta cercando di risvegliarsi da un brutto periodo di confusione e indecisione riguardo al proprio futuro. Per riuscire a riemergere da questo lungo periodo di crisi economica su cosa, a suo giudizio, l’Italia dovrebbe contare come suo punto forte e cosa, invece, dovrebbe riformare e migliorare?
«Ricollegandomi in un certo qual modo con quanto appena detto, credo sia indispensabile “ripartire” dal fattore culturale. Non vi sembri una affermazione peregrina rispetto ai problemi da fronteggiare oggi, che hanno la loro manifestazione più vistosa in una crisi economica grave e protratta nel tempo.
«Sono persuaso, infatti, che l’Italia, ma anche il resto del mondo cosiddetto industrializzato, si trovino ad affrontare un vero e proprio passaggio d’epoca, poiché la crisi prima ancora che finanziaria ed economica è crisi culturale e di valori.
«Non voglio ripetere cose già dette in numerose occasioni e, da ultimo, anche nel libro che è all’origine di questa intervista. Ancora una volta, però, mi trovo a dover ricordare la necessità, ineludibile, di rimettere al centro della vita pubblica, della società, e a fortiori dei singoli individui i valori del bene comune, della solidarietà, della uguaglianza.
«Ci sono stati momenti della nostra storia in cui questi valori sono stati sentiti profondamente e messi in pratica con forza e con determinazione.
«Il Risorgimento e il secondo dopoguerra ne sono, seppure in contesti storici diversi, un esempio.
«Gli uomini del Risorgimento posero il loro massimo impegno per l’unità della Nazione e per il suo inserimento tra quelle che potevano vantare istituzioni libere e un sistema economico in grado di promuovere il progresso sociale e civile delle loro collettività.
«Nel secondo dopoguerra la classe dirigente, nonostante le diversità ideologiche, di convinzioni religiose e di orientamento circa l’assetto futuro da dare alla società italiana, trovò nella necessità di ricostruire moralmente e materialmente il Paese la strada dell’unità di azione, della rinuncia a far prevalere gli interessi di parte.
«Per concludere, non entro nel merito delle misure di politica economica che sono attualmente allo studio o in corso di elaborazione da parte del Governo, esse saranno discusse e valutate nelle sedi opportune, in primo luogo in Parlamento. Quel che qui mi sembra opportuno sottolineare è che tutta l’azione di governo venga condotta senza mai distogliere lo “sguardo” dall’Europa. Una stretta connessione con la più ampia patria europea; una integrazione crescente verso il traguardo dell’unità politica del Vecchio Continente sono imperativi da non disattendere.
«Poiché è soprattutto a voi giovani che spetta di portare a compimento la costruzione della comune casa europea, lasciate che mi congedi esortandovi a impegnarvi al massimo in questo compito: oggi sui banchi di scuola, con la serietà negli studi; domani col lavoro e con la partecipazione attiva alla vita pubblica».
Ilaria Bersano