Pozzo, il bilancio di Londra "I miei Giochi migliori"

Il calore della famiglia, l’allegria degli amici, una gita al Lago d’Orta, magari qualche giorno al mare, così si riposa un campione dello sport come Enrico Pozzo (nella foto), reduce dalle fatiche della sua terza Olimpiade in carriera, dopo quelle di Atene 2004 e Pechino 2008. A 31 anni, in mezzo a «scolaretti giapponesi di 18 anni» in una disciplina massacrante come la ginnastica artistica, quella di Londra è stata quasi certamente l’ultima partecipazione ai Giochi, l’apice di una carriera d’atleta.
Pozzo, è stata la sua più bella Olimpiade, come racconta il bel risultato?
«Senz’altro sì, Londra è l’edizione che ricorderò con più piacere. Il 18° posto nell’All-round e il punteggio di 87, mai raggiunto prima a livello internazionale, parlano di un miglioramento che peraltro c’è stato anche dalla qualifica alla finale nel Concorso generale. Sono davvero molto soddisfatto di me stesso. Ma anche le sensazioni sono state differenti rispetto alle altre due volte».
Sotto quale aspetto e perchè?
«E’ come rivedere un film già visto. La prima volta è tutto nuovo e molte energie vengono indirizzate nello scoprire giorno per giorno cosa fare, come e quando, anche l’emozione della gara non ti dà tregua. La seconda volta le novità sono di meno, te la godi di più, mentre in questa terza occasione ero consapevole di tutto, delle routine e delle sensazioni da vivere. Ero tranquillo ed ho assimilato l’esperienza appieno e probabilmente questo ha influito anche sul buon risultato ottenuto in gara».
Gli Inglesi organizzatori promossi dunque?
«Sì, direi che è stata un’edizione meno sfarzosa, ma ben organizzata in una città che si è trasformata aprendo i suoi luoghi più belli alle gare e alla gente. Uscendo dalla stadio olimpico insieme a ottantamila persone non ho fatto un metro di coda, era tutto ben programmato. Diciamo poi che la propensione inglese nel rispettare le regole aiuta. Nei momenti post gara, invece, mi sono divertito».
Ha visto qualche gara in particolare?
«Ho assistito alla finale dei centro metri: Bolt è un atleta incredibile. Avevo già assistito a quelle di Atene e Pechino e non ho voluto mancare ad uno spettacolo unico. Poi sono andato a Wimbledon in occasione dei quarti di finale del tennis maschile e ho avuto la fortuna di veder giocare Federer e Djokovic. Dove mi sono divertito di più, però, è stato nello stadio del beach volley nel cuore di Londra dove l’atmosfera olimpica era al suo massimo. Gran divertimento sulle tribune e un bello spettacolo da vedere in campo, in uno scenario unico in mezzo a monumenti storici».
La vita nel villaggio olimpico e a Casa Italia com’è andata?
«Villaggio molto più a misura d’uomo dei precedenti, peccato che la mensa fosse divisa per continenti e culture diverse, è stato più difficile fare amicizia con atleti di altri paesi. A Casa Italia ci ho passato una giornata intera perchè dopo la sua medaglia di bronzo agli anelli Matteo Morandi mi ha chiesto di accompagnarlo per assolvere ai doveri di interviste e sponsor. Bella e accogliente e buon cibo. Non per nulla tutti all’Olimpiade cercano di farci un passaggio».
Cambiamo argomento. A Olimpiade conclusa, si può dire che il silenzio internet imposto a voi Azzurri è stato molto più duro di quello imposto dal Cio. In poche parole, gli altri atleti hanno fatto un po’ quello che hanno voluto, ha notato?
«Non entro nel merito, certo ho notato la differenza. Ringrazio comunque chi mi ha scritto su Facebook, mi ha fatto molto piacere».
Peraltro lei gode un un grande seguito di “amici” e “amiche”...
«Il popolo della ginnastica è grande, sono contento di rappresentare il movimento e che mi seguano».
Il caso Schwazer. Che ne pensa?
«E’ un caso delicato. Non entro nel merito. Certo nel leggere certe dichiarazioni dell’atleta tutto il mondo dello sport, e comprendo anche gli addetti ai lavori come voi giornalisti, deve riflettere sul perchè certe cose accadono».
A cosa si riferisce?
«E’ tutto troppo esasperato, il rischio che lo sport smetta di essere sport per un atleta è concreto. Se poi ti accorgi, o hai semplicemente il forte sospetto che c’è chi bara e non viene pescato come mi sembra abbia dichiarato Schwazer, allora entrano in campo anche le tentazioni alle quali dover resistere».
Lei è mai stato tentato dal doping?
«No, non mi è mai venuto in mente. Dico anche che non sono mai stato tentato da nessuno, non sono mai stato messo alla prova in modo concreto, anche se posso affermare con certezza che avrei risposto di no. Cedere al doping, comporta anche una serie di mancanze precedenti».
In che senso?
«Se la tua famiglia per prima, e i tuoi allenatori poi, ti hanno insegnato a rispettare te stesso e lo sport che pratichi, doparsi è lo sbaglio peggiore che puoi fare. Non avrebbe senso tradire tutti. Dico questo senza pensare necessariamente a Schwazer, il cui caso deve ancora essere chiarito».
Peccato che il suo caso abbia tolto spazio ad altri Azzurri sui media.
«Questo è vero, in quelle ore c’era chi vinceva l’oro o altre medaglie mentre la stampa parlava solo del caso doping. Sport come il nostro hanno una vetrina vera solo ogni quattro anni. Purtroppo so già come andrà, oggi si tireranno le somme, vedremo in tv e sui giornali belle immagini e inni agli eroi di Londra. Ma da domani si ricomincerà a parlare solo di calcio che, dal mio punto di vista, ormai con lo sport ha poco a che fare».
Allora che fa? Continua o dice basta? A Londra era il più vecchio...
«La voglia di continuare c’è. Devo ancora decidere come e dove, ci sono troppe variabili in ballo, a livello di federazione, di squadra e di programmi e conseguenti obiettivi. Per ora, l’idea di cambiare vita non è ancora all’ordine del giorno, poi si vedrà».
Gabriele Pinna
twitter @gabrielepinna