"Disintossicate la moda"
Disintossicare la moda: è il messaggio che lancia Greenpeace chiamando in causa una ventina di noti brands internazionali di cui ha sottoposto ad esame i capi di abbigliamento. Due terzi dei capi testati (vestiti, jeans, biancheria intima ecc), provenienti perlopiù da Paesi in via di sviluppo, secondo lo studio “Toxic threads. The fashion big stitch up” realizzato dall’associazione ambientalista, conterrebbero sostanze chimiche potenzialmente dannose per la salute e, in fase produttiva, per l’ambiente.
Battaglia. Una battaglia che, peraltro, Greenpeace combatte dal 2011 ma che va nella stessa direzione della cosiddetta “messa in sicurezza del prodotto tessile” perseguita già da almeno un decennio dall’associazione biellese “Tessile e Salute”. Mentre, però, le battaglie a livello locale hanno dovuto e devono affrontare grandi ostacoli sulla via dell’obiettivo di creare una consapevolezza informata nell’utilizzatore finale di prodotto tessile, l’indubbio vantaggio dell’operazione Greenpeace, considerata la dimensione planetaria dell’associazione ambientalista, è quello di raggiungere con grande facilità milioni di consumatori con un’operazione di warning internazionale capace di sensibilizzare gli acquirenti a livello mondiale. Il monitoraggio di Greenpeace riguarda una ventina di brands della moda quasi tutti stranieri e pubblicati sul sito dell’associazione (www.greenpeace.org).
Sinergie.«L’azione di Greenpeace - afferma Mauro Rossetti, direttore di “Tessile e Salute” - mostra quanto sia fondata la battaglia che conduciamo da anni e, soprattutto, conferma l’urgenza di giungere al più presto alla costituzione dell’Osservatorio nazionale per la sicurezza dei prodotti tessili: solo così, i consumatori potranno davvero avere a disposizione un formidabile strumento super partes di tutela di tipo scientifico. Da un lato, dobbiamo infatti evitare estremismi di sorta per non connotare ideologicamente questa battaglia; dall’altro, dobbiamo ribadire come, anche dalle nostre indagini, risulti l’esistenza di un problema di salubrità legato soprattutto a manufatti tessili importati in Italia. Detto questo, credo che sia positivo il nuovo clima che si sta creando circa la sensibilità rispetto a questo problema. Oltre a Grenpeace, va segnalata anche l’azione della Commissione Ue che ha commissionato ad una società olandese uno studio sui rischi da produzioni tessili. E’ auspicabile che queste sensibilità crescano e si esprimano in forme sinergiche».