L'INCIPIT DEI VOSTRI RACCONTI
Tirate fuori il vostro racconto dal cassetto! E diventate protagonisti della nuova rubrica "L'incipit dei vostri racconti", che Eco di Biella pubblicherà ogni sabato sull'edizione cartacea nel suo inizio (incipit). Per leggere il resto del racconto, occorrerà collegarsi al sito nel pomeriggio di sabato. Tutti possono partecipare all'inziativa gratuita, in collaborazione con la casa editrice biellese Lineadaria. Inviate i vostri racconti all'indirizzo lineadariaeditore@gmail.com, la selezione verrà effettuata da Federica Ugliengo. Buona lettura e buon esordio a tutti nella pagina, già cult per gli appassionati, L'Eco delle Parole.
GENERAZIONE LIBERTA'
di
IC2 Liceo Scientifico Avogadro Biella anno 2008-2009
segue da Eco di Biella in edicola oggi 2 marzo 2013
Dopo un paio di settimane siamo rimasti in una decina, tutti sotto i vent’anni, gli occhi vuoti di speranza, se non quella di essere i prossimi scelti.
Questa mattina mi sono svegliato con una strana sensazione nello stomaco; bevo la poca acqua che ci danno da bere. Ho paura.
Arriva l’ormai solita guardia che, dopo essersi guardato intorno fissa me, Marcello e Armando, due ragazzi con cui ho fatto amicizia durante il periodo di prigionia.
Sembra indeciso, ma alla fine dopo aver indugiato con lo sguardo su Armando indica me; a quel punto entrano due guardie che mi afferrano e mi portano fuori dalla cella.
Vengo portato in una stanza ancora più piccola della precedente con solo un lavandino e una sedia robusta come arredamento e delle macchie scure sul pavimento.
Mi lasciano solo per una decina di minuti che mi sembrano interminabili. Poi entra un uomo gigantesco, calvo, pieno di cicatrici e in mano ha una cassetta degli attrezzi.
Mi costringe a sedere e mi lega i polsi dietro allo schienale.
Mi fissa e mi dice :<< Se collabori non ti farò del male>> e intanto ghigna e mi avvicina alla faccia un manganello. Mi sento confuso e non so che cosa stia succedendo, sono disperato e poi arriva la prima manganellata sulla nuca. <>
Mi preparo alla prossima botta, che però non arriva.
Infatti la terra ha iniziato a tremare e le sirene antiaeree stanno suonando. Sono a terra con la sedia, frastornato. La guardia è scomparsa. Rimango solo nella stanzetta e cerco un modo per liberarmi.
Mentre sono lì che mi dibatto si spalanca la porta e entrano Armando e Marcello che mi liberano dai lacci. Insieme fuggiamo da un muro crollato e ci troviamo in una via a me sconosciuta ingombra di macerie.
Mentre corriamo, ci imbattiamo in alcune biciclette che qualcuno ha abbandonato. Saltiamo sù e iniziamo a pedalare.
Cominciamo ad andare sempre più veloce, non pensiamo.
All’improvviso vediamo un campo, ci guardiamo per un secondo e senza parlare: abbiamo la stessa idea. Scappiamo in mezzo alla campagna pedalando con tutte le nostre forze, ma alcuni soldati si accorgono di noi; ci seguono.
Iniziano a sparare, i miei compagni cadono. Sono feriti o peggio?
Sono solo.
Il vento freddo rende ogni pedalata più faticosa, non sento più il rumore degli spari, probabilmente i tedeschi si sono fermati; hanno catturato Marcello e Armando, non so se li rivedrò, ma se mi fermassi prenderebbero anche me.
Sono scappato!
Dopo alcuni giorni di cammino tra i boschi, rieccomi tra le mie montagne.
Si respira una brezza familiare, lontana dalla guerra.
Ho tanta voglia di rivedere mia mamma e la mia sorellina, da lontano vedo la mia casa e mia madre china a spaccare la legna per il fuoco. Immagino la mia sorellina in casa che gioca col cane. Ho un groppo in gola.
Ma non posso tornare e metterle in pericolo. E già improvvisamente sento il rumore di un furgoncino lungo la strada.
I tedeschi mi stanno cercando!
Inizio a seguire il corso della roggia in mezzo al bosco che riporta a valle.
A stento riesco a non farmi scorgere e penosamente, con un lungo giro, torno verso la città.
Qualche conoscente potrà nascondermi forse, e con un po’ di fortuna potrò trovare rinforzi e liberare i compagni che si trovano ancora nella Villa.
Ho fortuna infine, e passato qualche giorno, io e alcuni partigiani, tra cui Aquila e il Grigio, siamo di nuovo davanti a quel luogo di morte.
Aspettiamo la notte.
La ronda tedesca va avanti e indietro sotto il cancello di metallo. Fuma; nel buio, vediamo solo la brace della sigaretta illuminarsi.
In silenzio, io e il Grigio ci avviciniamo al muro rovinato dal recente bombardamento; gli altri cinque aspettano al riparo del muro di cinta.
Siamo dentro! Ci dirigiamo verso i sotterranei, che conosciamo bene.
La guardia piantona la porta della cella dove i tedeschi tengono le vittime dei rastrellamenti. Io sono cauto, ma il Grigio, un omone che ha perso un figlio della mia età in questa guerra schifosa, si avventa su di lei furioso.
I due rotolano a terra e sono avvinghiati, le grosse mani del Grigio attorno al collo del tedesco, i due sono avvolti da un irreale silenzio, interrotto da rantoli soffocati.
La lotta dura un tempo che mi sembra lunghissimo, ma sono trascorsi solo alcuni minuti da quando siamo entrati.
Il Grigio si solleva dal corpo esanime. In mano stringe le chiavi della cella. Non mi guarda in viso.
Dopo aver trovato la chiave giusta, apriamo la cella dei compari. Tra di loro, vivi, ci sono Armando e Marcello. Ci abbracciamo calorosamente e ci scambiamo i pensieri che ci passano per la testa in questo momento di gioia; momento che viene puntualmente interrotto da urla rabbiose in tedesco. Scappiamo di corsa fuori dalla cella, nel corridoio che ora è tagliato da luci di torce.
Scappiamo, scappiamo, voltiamo quest’angolo, non ci guardiamo indietro, colpi di pistola esplodono alle nostre spalle. Qualcuno cade, qualcuno inciampa sul suo corpo.
Mi sembra di correre in un sogno. Finalmente una porta si spalanca e una luce fortissima e bianca ci inonda. Siamo fuori. Dove siamo? Dove sono gli altri? Dove sono le guardie?
Mi trovo in un giardino, nella Villa, insieme a me ci sono altri ragazzi, ma non ne scorgo i volti e sento una voce ferma e forte che dice : << Eugenio, ma che fai dormi? Dai, ragazzi, è ora di tornare in classe. La visita alla Villa è terminata. >>.
Ed eccomi qua. Sono Eugenio. Ho quattordici anni. Guardate che non ho sognato.
Ragazzi poco più grandi di me sono stati uccisi qui in questo stesso posto per ragioni che non capivano. E che nonostante il mio striminzito sei in storia, neanche io capisco.
E poi penso che nel mondo in cui viviamo ancora si lotta senza capire perché, solo per essere attaccati al filo della vita, della libertà.
E cosa è per me la libertà ? E’ una domanda a cui non trovo risposta. Perché sono abituato a lei, come a un vestito comodo.
E’ più facile non chiedersi nulla. Sarei in grado di rischiare la mia vita per non perderla? Sarei in grado di salvare gli amici in pericolo? Stare lontano dalla mia famiglia? Non so, ma troverei il coraggio. O almeno ci proverei. In fondo, tanti hanno vinto la loro lotta, e anche la mia libertà si deve a loro.