Geometra, vedovo e padre domani sarà prete a Oropa
Geometra, vedovo, padre di tre figli, sarà ordinato prete domani a Oropa dal vescovo Gabriele Mana. Una storia insolita, quasi unica, quella di Andrea Giordano, 53 anni, di Biella, protagonista di un’avventura desiderata da quando la moglie Anna è mancata tredici anni fa e conquistata con fatica ed impegno, studio e testardaggine in questi ultimi dieci anni dedicati alla famiglia innanzitutto e poi alla teologia e alla vocazione.
Una scelta, quella di Andrea Giordano, maturata nel corso di una vita piuttosto movimentata e nella quale le tappe fondamentali non sono state quelle della formazione tra le scuole del centro e l’oratorio di Santo Stefano, l’attività sportiva e la passione per la montagna, le amicizie diffuse attorno al caffè di famiglia, il Magnino, ancora oggi gestito insieme ai figli universitari e ad altri soci; piuttosto la svolta è stata la storia d’amore con Anna Martiner Bot, il matrimonio, il primo figlio Niccolò e poi i due gemelli Pietro e Filippo, infine la malattia infernale e dolorosa, ma allo stesso tempo ragione di una comunione fisica e spirituale fortissima che ha originato la scelta di continuare un percorso di fede. Gli amici di una volta, i tantissimi conoscenti, sono “stupiti”. «Mi dicono “ma che fai, sei sicuro?” - racconta Giordano con allegria -, del resto forse lo sarei anch’io se non conoscessi i dettagli. Spiego loro che sono sereno e felice”.
E’ però lecito chiedersi come è possibile una “vocazione tardiva”.
«E’ possibile perché si tratta di una risposta al senso di gratitudine al Signore: tanto ho ricevuto, tanto devo restituire... La vita con Anna è stata meravigliosa, intensa, fortissima, abbiamo avuto tre figli, tanta gioia. Ho iniziato con Anna un cammino di fede e l’attuale percorso è stato quasi una naturale conseguenza per come sono state vissute la malattia, il dolore e la morte».
Come ha conciliato la responsabilità di allevare tre figli ancora piccoli con la scelta del diventare prete?
«Ad un certo punto, un anno dopo l’addio terreno di Anna, ho deciso di porre il quesito all’allora vescovo Massimo Giustetti. E lui, molto semplicemente, mi disse: “Persegui questo sogno”. Ed io l’ho fatto».
Materialmente cosa ha dovuto fare?
«Ho cominciato gli studi in seminario con un itinerario, come dire, personalizzato e più diffuso nel tempo per via del lavoro e dei ragazzi da seguire. Quando i miei figli andavano con gli scout il sabato e la domenica studiavo e, per quanto possibile, frequentavo le aule del seminario in particolare al mattino prestissimo. Due anni fa ho terminato gli studi con tanto di esami tipo libretto universitario, a parte l’esonero per greco ed ebraico, e così sono stato ammesso al seminario. Poi ho proseguito con il lettorato e l’accolitato. L’anno scorso, il 25 giugno, sono stato ordinato diacono ed ho esercitato il ministero a Gaglianico in aiuto al parroco don Paolo Loro Milan».
Come è scandita la sua giornata?
«Mi alzo alle 5 e mezza, recito l’ufficio mattutino e le lodi della liturgia delle ore, poi vado al lavoro. Come diacono aiuto il parroco il sabato e la domenica. Alle 18 partecipo alla messa, poi c’è la preghiera dei vespri, compieta, infine vado a letto».
Indossare la veste del sacerdote cambia la condizione, nel senso che è irreversibile: è sicuro di questo passo?
«Il sacramento che mi appresto a ricevere è indissolubile. Entro a pieno titolo nella Chiesa, da figlio e da padre, in una dimensione che da piccola esplode nella grandezza della creazione del Cristo di cui celebriamo il sacrificio. Ciò che mi dà gioia è offrire la vita alla comunità. E’ un modo per ricostruire l’armonia».
Più che una gioia un grande impegno, non per tutti.
«Oggi noi confondiamo la gioia con il divertimento e viviamo il caos. Ho imparato a non soffermarmi sul personale: c’è una buona novella e io sono un semplice tramite nella sua diffusione».
Ai fedeli di Gaglianico cosa predica?
«Per concomitanze della vita ho incontrato la morte da vicino quattro volte: un bimbo di 11 anni morto di congestione in piscina, poi un uomo caduto da una parete in montagna, poi la vittima di una slavina e, infine, con Anna. La cosa che più mi ha colpito in quei frangenti è stato l’ultimo respiro, l’ultimo alito che sale verso l’alto. Un segno di eternità: siamo oggetti che in Dio diventiamo soggetti. Nelle mie prediche ricordo che l’Italia unita che ha compiuto 150 anni celebra il Milite Ignoto, mentre in Dio conserviamo la nostra identità, nessuno è ignoto, siamo storia».
Che prospettiva ha?
«Quella del ricongiungimento: rivedrò Anna, una speranza. Un sentimento che mi lega alla vita».
I suoi figli cosa dicono?
«Sono stati chiamati dal vescovo Gabriele Mana che ha fatto loro la stessa domanda. Dicono: “Papà ha sempre rispettato la nostra libertà e noi la sua”. L’importante è la coerenza. E per quel che mi riguarda, finchè avranno bisogno di me, abiterò con loro e, poi, svolgerò i compiti del ministero sacerdotale».
E i suoi genitori?
«Sono scelte che hanno stupito, io sarei stupito, ma sono un uomo maturo e le rispettano».
E i suoi colleghi geometri?
«Nessuno mi ha mai chiesto niente. Al limite qualche battuta: “In che veste sei...?”. Dal 10 giugno continuerò a fare il geometra, ma indosserò il tradizionale abito nero, la talare».
E nella sua nuova famiglia la Diocesi, come va?
«E’ una gerarchia orizzontale. Il vescovo è il padre, ha il compito di educare. Ho grande rispetto e gli devo obbedienza. Ma nella Diocesi c’è famigliarità non consanguineità. Per questo abiterò nella casa coi miei figli perché ho ancora doveri verso la famiglia».
Cosa cambierà davvero sabato 9 giugno?
«Divento prete: il sogno si avvera».
Qual è il suo motto?
«Quello di don Oreste Fontanella, imparato in seminario. Recita: “La gloria a Dio, il piacere al mio prossimo e il sacrificio a me”».
Impegnativo: cosa significa per lei il sacrificio?
«Mettere la mia vita a disposizione della Chiesa».
Una Chiesa nel mirino in queste settimane fra “corvi” e presunti scandali: non si sente a disagio?
«Non c’è ambiente sociale che non sia attraversato dalla buriana: pensiamo alla politica, al calcio... La Chiesa sopravviverà, se non altro perché ha attraversato i millenni. Le parole di Gesù sono chiare: le porte degli inferi non prevarranno su di essa. E se è vero che la Chiesa è fatta da uomini, con tutte le loro debolezze, è comunque divina».
Nuova vita a 53 anni?
«Sì, sono felice e realizzato a 53 anni».
Roberto Azzoni