La verità di Cancellieri: "La retrocessione? Azzardo troppo alto dall'inizio"

Se quello di Massimo Cancellieri sia stato un addio o un arrivederci a Biella, da celebrarsi magari sullo stesso campo, da avversari, sarà il tempo a dirlo.
Quel che mancava al finale di una storia durata sei lunghi anni, sono le parole di commiato rimaste inespresse in quel triste pomeriggio sportivo di fine aprile, contro Roma, segnato da surreali applausi del pubblico che hanno fissato nella memoria la retrocessione di Pallacanestro Biella.
Vita. E dopo un’estate importante che lo ha segnato negli affetti, a causa della morte improvvisa del padre Lucio, ed anche nella vita professionale grazie alla chiamata dell’Olimpia Milano che lo ha scelto come assistente di Luca Banchi, coach “Canc” accetta finalmente di rivisitare l’anno no di Biella, offrendo la sua versione a mente fredda ed occupata da nuovi pensieri e mutate priorità, dettate dalle dure lezioni della vita.
Bilancio. «Avrò di Biella sempre un ottimo ricordo - confessa il tecnico di Teramo -. La retrocessione mi ha fatto male, ma giudico la mia esperienza nel suo complesso e la realtà è che mi sono formato come allenatore. Se oggi ho la grande occasione di lavorare a Milano lo devo anche all’esperienza maturata in rossoblu. Se una società gloriosa e con grandi ambizioni come l’Olimpia mi ha dato questa possibilità vuol dire che il lavoro fatto non è stato così male. Non lenisce la delusione per l’ultima annata, ma sono contento del fatto che un allenatore non si giudichi solo dall’ultimo risultato negativo».
Com’è nata la pista Milano? Con il capo allenatore Luca Banchi che rapporto c’è?
«Conosco Luca Banchi dagli anni ’90. L’incontro fu propiziato dal mitico preparatore atletico Giustino Danesi; da allora ne è nata una frequentazione professionale ed anche un rapporto personale. Ripeto, sono felice che abbia un’opinione di me tale che gli abbia consentito di scegliere un assistente appena retrocesso. Indossare ogni mattina la polo dell’Olimpia Milano dà sensazioni particolari e ti stimola molto, soprattutto ben sapendo quali sono gli obiettivi da raggiungere. Quando mi hanno contattato, ci ho pensato due nano secondi prima di dire sì».
Potrebbe restare a vivere a Biella...
«Certo, i collegamenti sono comodi. In treno poi, si fa in un lampo...».
Da un futuro tutto da scrivere, ad un recente passato già scritto. Non resta che commentarlo. Le sue mancate parole a fine campionato hanno avuto un effetto di silenzio assordante, come mai?
«Ero deluso dell’epilogo, ho scelto volutamente di mettermi un po’ in disparte. A mente fredda si leggono le situazioni con più lucidità. Poi la perdita di mio padre mi ha cambiato dentro, mutando anche l’ordine delle priorità e il modo di intendere i rapporti interpersonali o gli episodi quotidiani. Lascio Biella consapevole di avervi trovato degli amici. Spero e credo che non sarò ricordato solo come l’allenatore della retrocessione. Devo dire che in occasione del mio lutto ho sentito la vicinanza di molte persone, alcune anche inaspettate. Mi ha fatto capire che i miei anni in città hanno lasciato un segno della mia presenza. Le contestazioni o l’ultima stagione sono un passaggio doloroso, ma non quantificano i miei anni biellesi. Molte persone l’hanno capito e questo mi ha fatto enorme piacere».
Quindi niente sassolini da togliere in merito a come sono andate le cose?
«No, oggi no, nessuno. Qualche mese fa forse, ma sarebbe stato inutile. Io sono assolutamente convinto di aver fatto tutto quanto in mio potere per cercare di evitare la retrocessione. Non ce l’ho fatta e me ne assumo la parte di responsabilità che mi compete. Per il resto inutile fare polemiche, non servono a nessuno e soprattutto non ho motivi validi per farne con chicchessia».
Un errore che non rifarebbe?
«Uno c’è, ma lo tengo per me. Dirlo potrebbe alimentare possibili polemiche e ormai non servirebbe a nessuno. Più in generale, forse, col senno di poi, io e Marco (Atripaldi, ndr) avremmo dovuto chiarire meglio dall’inizio quali dovevano essere le reali aspettative sulla squadra costruita con quel budget. Avremmo dovuto chiedere una mano in più all’inizio invece di aspettare di essere nei guai seri. La verità è che nelle ultime stagioni la percentuale di rischio è sempre aumentata fino a diventare insostenibile».
Quegli applausi finali, dopo un periodo acceso di contestazione, come se li spiega?
«Un’idea me la sono fatta. Quella dell’anno scorso era una squadra incapace di trasmettere amore ed emozioni. Il pubblico ci ha provato ad innamorarsene, ma era impossibile. Un po’ ci ha litigato, come fanno due innamorati, ma quando ha capito che era una battaglia persa ha rivolto il proprio attaccamento alla società ed è quest’ultima che ha applaudito e sostenuto. Nella storia di Biella c’è sempre stata complementarietà tra pubblico e squadra. Abbiamo tutti vissuto una sorta di rivoluzione emozionale, nata dal sentimento verso la squadra, purtroppo non ricambiato».
E della nuova squadra costruita dal gm Fioretti che dice?
«Il progetto è chiaro: puntare sui giovani sostenendoli con un paio di puntelli d’esperienza. Penso che Voskuil sia la chiave: è un giocatore in grado di far divertire e di accendere la passione dei tifosi, indispensabile per il rilanciare il progetto Biella».
Gabriele Pinna
Twitter @gabrielepinna