"In sanità l'uomo deve tornare al centro"
Qui di seguito la versione integrale dell'intervista all'economista Roberto Burlando, ospite stasera dell'AslBi, in qualità di relatore ad una conferenza del ciclo "Etica e sanità". Tema dell'incontro, "Etica ed economia sanitaria".
Professore, che cos'è, per lei, l'etica?
Sinteticamente direi il punto di partenza di ogni riflessione. Superata la fase della ricerca della sopravvivenza credo che ogni essere degno di appartenere pienamente al genere umano non possa non porsi la questione del modo o migliore - o almeno adeguato, giusto, appropriato - di vivere, agire, scegliere.
Ciò vuol dire porsi la questione dei valori da perseguire, di cosa è più importante nella e per la propria vita. Molti ritengono che sia la convenienza personale a determinare i valori che si dichiarano e perseguono, io credo, all'opposto, che siano i valori personali che fanno "vedere" un certo tipo di "convenienza" anziché altre o altre motivazioni che vengono percepite come più rilevanti.
Una prima questione è allora cosa vuol dire in questo ambito "migliore", e come questo si collega ai valori che riteniamo più importanti. Le diverse scuole di filosofia morale propongono idee diverse in merito, anche se ci sono interessanti processi di parziale convergenza (ad esempio l'approccio dei principi intermedi). Quel che convince maggiormente me è il criterio di ciò che ci fa star meglio in senso duraturo, facendoci sentire in pace con noi stessi e gli altri e realizzati nella nostra vita (l'eudaimonia aristotelica). Questo implica anche e sempre il fondamentale rispetto per gli altri, cui va riconosciuta sempre la dignità personale (il non farne mai dei mezzi per noi ma dei fini in se stessi, di kantiana memoria), e per la vita in generale.
In questo modo mi rendo conto di fare una sorta di sintesi di principi delle diverse scuole succitate, includendoli però nel quadro della cosiddetta "etica delle virtù", di Aristotelica ascendenza e sostenuta in questi tempi dalla filosofa statunitense Martha Nussbaum e dall' economista indiano (premio Nobel) Amartya Sen. Dico una sintesi perché credo che tra le condizioni necessarie per raggiungere quella pace e realizzazione vi siano sia il rispetto di principi fondamentali ("imperativi categorici") sia il considerare le conseguenze delle proprie azioni.
Su queste basi l'etica può essere pensata nuovamente come la ricerca delle "regole" (che secondo l' etimo indicano il modo migliore di fare sulla base delle esperienze e riflessioni - proprie sommate a quelle altrui -, non un codice esterno e più o meno arbitrariamente imposto da altri) che conducono a quei risultati che ci prefigge.
Alcune riflessioni importanti su tutto ciò ci vengono, a mio avviso, da una cultura diversa dalla nostra e che - almeno a suo tempo - ha fatto dell'etica un riferimento centrale: quella indiana che, con lo Yoga, ha posto il codice etico (il Dharma) come condizione essenziale persino per riuscire a riflettere adeguatamente (nel senso che chi non agisce eticamente è disturbato ed una mente agitata non riesce a ragionare bene).
Questa filosofia ci ricorda in particolare - cosa che la nostra cultura sembra invece stare progressivamente dimenticando - che gli obiettivi di vita (ed in una certa misura anche i valori che riusciamo a percepire) sono diversi nelle diverse fasi di vita (in questo trovo una notevole sintonia con la individuazione delle fasi evolutive della psicologia Erikssoniana), che la vita è fatta di tante dimensioni (5 principali) tra loro irriducibili e non condensabili in una singola misura (quale potrebbe essere il denaro o - per molti economisti - l'utilità) e che l'uomo evolve proprio attraverso l'evoluzione dei valori che persegue con diverse abilità e impegno.
Qual è il giusto messaggio che dovrebbero diffondere i mass media sul tema "etica ed economia" ? Quali sono gli errori e i rischi di una cattiva informazione? E quali invece i messaggi che andrebbero promossi?
Credo che anche in questo ambito il ruolo dei media sia importantissimo. Quel che io vedo in generale è, purtroppo, una loro subalternità ad una logica riduzionista ed economicista, più facile da proporre e che non urta gli interessi degli "stakeholders" di maggior peso. In generale ormai si fa poca cultura, sia pur a livello divulgativo, e tanto "gossip" (che qualcuno cerca di spacciare per cultura..) e si ripropongono versioni personalizzate della logica economicista e consumista prevalente. Non mi pare che la colpa sia solo dei giornali e dei media però: anche i partiti e varie istituzioni mostrano, a mio avviso, una subalternità, rispetto al potere economico e politico ed alle logiche che esso propone in questa fase, inedita rispetto ai decenni recenti. La spettacolarizzazione della politica (e di tutto) ha contribuito a creare un clima che pare ormai una spessa coltre, difficile da infrangere. Non si riesce a indurre l'economia e la politica a fare ciò che appare evidentemente necessario - pensi solo al cambiamento climatico - e si rischia di riproporre sempre gli stessi temi perché non c'è evoluzione su quei fronti, per cui si cerca evoluzione, mutamento, novità, dove c'è: in quel che non conta, che non dà fastidio a nessuno. Si accettano, senza spesso darsene più cura, e ripropongo chiare mistificazioni di personaggi noti e che fanno audience.
In generale l'errore principale, a mio avviso, è quello di "confondere" le persone con chiacchiere sul niente e tenere lontani tutti da riflessioni su cosa davvero è importante nella vita di ciascuno. Sembra che sia più importante sapere l'evoluzione degli amori di qualche personaggio noto o addirittura fittizio (e.g. eroi ed eroine di soap opera) che della vita dei vicini di casa o addirittura degli amici, per non parlare delle questioni, difficili, che possono condizionare fortemente la nostra vita nel presente e nel prossimo futuro. Non si trattano - se non talvolta in termini "terroristici" che spaventano le persone e le inducono al rifiuto, al non volerne sapere di più - i temi davvero importanti e non si sviluppano, almeno relativamente ad essi, le attitudini riflessive delle persone.
Si parla troppo poco dei valori che sono o dovrebbero essere importanti per la vita di ciascuno e non si stimolano riflessioni al riguardo. Non si evidenziano le possibilità di cambiamento né si propongono serie riflessioni su di esse e sui possibili "sentieri di sviluppo", personale e sociale oltre che economico, che invece potrebbero contribuire a svilupparli.
Che cosa significa, nel concreto, conciliare economia ed etica in sanità?
Il grande errore dell'economia in generale, a mio avviso ma condividendo in questo l'insegnamento di Aristotele e di Sen - è stato quello di trasformarsi da importante strumento orientato al raggiungimento di valori ed obiettivi concreti, forniti dalle riflessioni etiche, filosofiche e politiche (in senso alto la politica è il disegno delle istituzioni che meglio aiutano a raggiungere la felicità, l'eudaimonia), a criterio di scelta e giudizio sugli stessi valori e obiettivi. Si tratta di una grave aberrazione che distorce completamente il quadro di riferimento. Troppi ormai scambiano ciò che è appunto uno strumento per il fine supremo, conducendoci a disastri umani, sociali e ambientali.
Anche in sanità, a mio avviso, il problema principale è questo. La centralità dell'essere umano e dei suoi bisogni è troppo spesso solo un valore retorico, lontano dai comportamenti concreti. Un buon uso delle risorse, economiche in genere e lavorative umane in particolare, invece non può non partire concretamente dalla costante ricerca di quella centralità, concretizzandola nei diversi contesti e declinandola col riconoscimento dei limiti naturali (che il modernismo ha cercato di superare e/o ignorare, diffondendo una pericolosa illusione) della vita e della relativa limitatezza delle risorse. Su quest'ultimo aspetto però vedo grandi e gravi mistificazioni.
Tutti sanno che nella sanità vi sono stati e ci sono ancora, specie in alcune Regioni, sprechi enormi a causa della prevalenza di interessi illegittimi e, in una serie di situazioni, di cattiva organizzazione e controlli a dir poco carenti. Intervenire decisamente su questi aspetti è necessario e prioritario, ma francamente non pare che sia questo ciò che si sta facendo a partire dagli orientamenti espressi dai vari governi succedutisi da diversi anni a questa parte. Certo "toccare" molti di questi interessi "illegittimi" è difficile e politicamente ancor più difficile, ma è una delle condizioni necessarie per conciliare etica ed economia in sanità.
Quel che si osserva oggi con grande preoccupazione è invece un progressivo decadimento di molte prestazioni sanitarie, un accentramento di risorse nei grandi centri che è giustificato solo in una serie di ambiti ma che è la declinazione in questo specifico di un generale processo di accentramento (centralismo) che credo sia assolutamente deleterio. Altro che federalismo e autonomie locali, sembra che stiamo andando in senso esattamente inverso.. Si cerca nuovamente di restringere il controllo nelle mani di pochi e la ricerca dell'efficienza pare soprattutto una scusa ben orchestrata (ci vuole tempo ma non è difficile costruirla, basta far andar male l'esistente.. e l'Università attuale ne è un esempio lampante). Si può cercare efficienza anche in altri modi, meno centralisti e, credo, più efficaci anche se politicamente più difficili.
In questa fase storica la razionalizzazione delle strutture e delle spese è necessaria, ma i modi di realizzarla sono molteplici e certo non equivalenti. Come sempre ci sono logiche diverse che corrispondono ad interessi diversi (e dunque anche a valori diversi). La logica delle grandi strutture, in sanità come in agricoltura e nel settore dei servizi (e si potrebbe andare avanti) viene presentata come la logica dell'efficienza ma è fin troppo chiaro che spesso così non è, che spesso le strutture troppo grandi sono altamente inefficienti anche perché nascono come e/o per raggiungere e di fatto costituiscono concentrazioni di potere. In quanto tali perseguono logiche che sono assai lontane dalla centralità delle persone (nello specifico i malati, che una nota battuta ci ricorda essere "pazienti").
Vorrei ricordare che in economia (quella da manuale, assolutamente tradizionale) l'unica condizione di mercato che assicura (teoricamente) l'efficienza è la concorrenza perfetta, che richiede (tra le 4 condizioni da manuale) assolutamente le piccole dimensioni delle imprese rispetto al mercato (i tentativi di ridimensionare tali vincoli, ad esempio con la contendibilità, non sono risultati minimamente credibili neppure per l'economia mainstream). A mio avviso c'è molta schizofrenia in chi da un lato vanta le virtù della concorrenza e, dall'altro, punta a concentrazioni sempre maggiori, sul modello delle multinazionali..
Inoltre spesso si sostengono sulla base del criterio di efficienza processi di privatizzazione - contro cui non ho nulla, anzi, se riguardano i beni tecnicamente definiti come privati - anche per i beni e servizi pubblici, per i quali invece la logica di mercato è assolutamente inadatta (si veda al riguardo il contributo della filosofa morale statunitense E. Anderson sui limiti etici dei mercati, che evidenzia come il mercato stravolga la natura stessa di questi beni e servizi, rendendoli necessariamente altro). Per di più spesso le privatizzazioni in questo ambito contribuiscono soprattutto a realizzare rendite di posizione (interessi di parte illegittimi legittimati dal potere politico ed economico), che sono l'opposto dell'efficienza.
Nel nostro sistema sanitario le esigenze economiche, oggi, si sposano con scelte etiche?
Credo di aver già risposto, almeno in parte, perché le domande (e le risposte) sono inevitabilmente collegate.
A me pare prevalga oggi la "logica" economicista (qualcuna la definì impropriamente ma efficacemente mercatista), che innanzitutto rende le scelte sulle risorse da destinare alla sanità subalterne ad altre, in particolare gli interessi della finanza, e poi impone in ambito sanitario e socio-assistenziale logiche di riduzione di tagli spesso indiscriminati, con grandi danni per tutti, sia oggi che in misura ancora maggiore in futuro. Si presentano come tagli in nome dell'efficienza quelli che invece sono fenomeni ingenti di disinvestimento in settori cruciali sia per la vita delle persone che per lo sviluppo economico, che avranno conseguenze drammatiche nel futuro, immediato e non. L'etica, a mio avviso, sta da un'altra parte e il buon senso e la verità anche.
Lo sviluppo tecnologico, e le sue implicazioni economiche, che influenza ha sui doveri etici?
Si tratta di un tema sul quale molto è stato scritto, non solo con riferimento all'ambito sanitario, ma personalmente non mi sono mai occupato nello specifico di questi aspetti - per pura mancanza di tempo e altre priorità - e dunque non sono in grado di fare una sintesi di quella ampia letteratura. Posso solo dire, in generale e in breve, che mi pare che oggi ci sia la tendenza a sopravvalutare o sottovalutare l'importanza e le potenzialità dello sviluppo tecnologico senza operare i necessari distinguo. Invece credo occorra distinguere tra diversi tipi di sviluppo tecnologico, perché non tutto è benefico ed ancor meno è "cost-effective" e anche in questo ambito gli sprechi - che spesso corrispondono al prevalere di interessi particolari - implicano minori risorse da impiegare invece nei progetti che sarebbero di maggior interesse e beneficio.. Ad esempio gli epidemiologi in genere ci dicono che, anche oggi, la prevenzione sarebbe complessivamente assai più efficace di altri tipi di sviluppo, ma in relazione a ciò troppe poche risorse le sono destinate. E poi c'è la solita questione delle innovazioni centralizzate o invece diffuse, che andrebbe coniugata con i diversi ambiti di impiego anziché essere trattata come una questione ideologica.
C'è poi un mito, non strettamente tecnologico ma scientifico, che sta influenzando molte riflessioni attuali, anche in sanità: l'approccio definito "evidence based". Anche qui mi pare necessario distinguere tra un uso strumentale di questa proposta, che mira semplicemente a giustificare tagli decisi aprioristicamente, ed uno, più degno, che cerca invece riscontri concreti per le scelte da compiere. Sul secondo fronte occorre però ricordare che basarsi solo su procedure induttive può causare errori fatali (lo evidenziò il matematico e filosofo Bertrand Russel con la storiella del pollo induzionista) e che per evitare questi occorre sempre tener conto delle esperienze cliniche e delle riflessioni scientifiche più generali, spesso condensate nelle "buone pratiche": solo così si può decidere con "scienza e coscienza" (come recita un vecchio motto) quali spese e/o investimenti privilegiare.
Tra etica ed economia c'è di mezzo l'uomo. A suo avviso, il personale sanitario oggi è preparato in materia?
In generale, stiamo assistendo a tagli che coinvolgono sempre più anche la formazione del personale, in sanità come in altri comparti, e questo mi pare davvero grave. Inoltre, nello specifico, dai tagli si salvano, quando si salva qualcosa, quasi solo gli aspetti di formazione "tecnica", che prescindono da considerazioni umanistiche ed etiche.
Una formazione che tradizionalmente ha dato poco spazio a riflessioni etiche ampie (a differenza che, in alcuni settori, ad aspetti molto specifici) rischia di impoverirsi ancor più.
Sono rimasto francamente e piacevolmente sorpreso da questa iniziativa della ASL di Biella, che mi pare vada controcorrente e sia assolutamente meritoria. Non a caso ho subito dato la mia disponibilità a partecipare.
Veronica Balocco