Famiglia Lai, una vita sotto canestro

Famiglia Lai, una vita sotto canestro
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Formano quasi un quintetto base, ma sono molto di più. Sono una squadra, senz’età. Anzi, una famiglia. Esattamente: i Lai, sardi di prima, seconda e terza generazione. E basta la parola, un po’ come per i Pillepich, per fotografare qualità sportive e valori umani.
Si passano la palla da una generazione all’altra. Da padre a figlio, da fratello a sorella, da zio a nipote. Eccetera. Da anni. Da quando il paradiso era la Libertas Biella di Ottorino Flaborea, vivendo gli anni “bui” delle serie minori, fino alla rinascita con la Pallacanestro Biella oggi Angelico.

Primi passi. Tutto è iniziato con Katia che accompagnava per mano al minibasket Alessandro, anni Settanta del secolo scorso, quando c’era una palestra nell’attuale sede dell’Azimut in via Repubblica. E da allora fratelli e sorella non hanno più smesso di cedersi il testimone di una tradizione sportiva fatta d’impegno e di doti cestistiche. «Ma noi giocavamo in serie C... Oggi tutti impazziscono per la Serie A o per Lega “Gold”. Mi raccomando, non esagerare» prova a dire Alessandro, classe 1969, memoria storica della famiglia (conserva fotografie, articoli di giornale e referti di gara di tutti da decenni).

Padre e allenatore. Oggi Alessandro è un coach e soprattutto il padre di un ragazzo di belle speranze del settore giovanile rossoblu, Tommaso (classe 1999). «E’ il contrario di me - spiega, mentre il ragazzo lo guarda e sorride sotto i baffi -. Non fa tanto canestro, ma in difesa ci dà dentro. Di me invece dicevano che in difesa non mi impegnavo abbastanza...». Ed era verissimo, così come era vero che avesse un tiro da tre punti micidiale. E che dalla lunetta fosse freddo e preciso come un killer. Un anno con il Gattinara segnò 44 punti, con 24 su 26 ai liberi. «Il basket mi ha dato tanto. Amicizie e soddisfazioni - spiega, con tono pacato -. Un solo rammarico: quando iniziò l’avventura della Pallacanestro Biella, con la selezione dei migliori giocatori biellesi, nell’estate del 1994, per la “prima squadra” di Federico Danna, mi infortunai al tendine d’achille e non potei tentare il grande salto in Serie B2. Vennero presi altri ragazzi, amici: Emidio Piatto, Francesco Rey, Fabio Vetrò e Stefano Robutti. Chissà se ce l’avrei fatta. Ho poi giocato tanti anni, in tutto il Piemonte. E ancora adesso mi alleno e segno, un po’». Un rammarico simile ce l’ha Nicolò Lai (classe 1982) trafila nelle giovanili della Pallacanestro Biella da protagonista, grazie a determinazione e gambe fuori dall’ordinario. «Mi allenavo con la  “prima squadra” che si preparava per la Serie A2, quella con l’americano Blair. Ebbi un problema al cuore che mi costrinse a fermarmi - racconta -. E persi il treno. Nessuno quando guarii si ricordò di me e io lasciai perdere tutto. Per la rabbia mi passò la voglia. Avessi avuto un procuratore magari avrei potuto trovare un ingaggio nelle serie minori. Invece niente. Certo il mio carattere non mi ha aiutato: troppo orgoglio. Però ho giocato insieme ad Alessandro, qualche anno dopo. Ed è stato molto bello».

La capitana. Storie di normale vita sportiva, sulle quali stende un bellissimo sorriso Katia (classe 1967). «Ma piantatela... Siete proprio degli uomini... Anche noi vincemmo un campionato di Serie C, a Biella, con la Cestistica, ma la società si sciolse e non partecipammo alla Serie B. E allora? Non fatela tanto lunga» dice, senza alcun rammarico la stella (e capitana) della Zeta Esse Ti Biella in cui giocò con Barbara Gava, Monica Baronio, Paola Rastello e tante altre ex ragazze terribili, oggi sposate e con figli. «Al palazzetto? Compatibilmente con gli impegni di famiglia, vado. E faccio il tifo. Che dire: io impazzivo per andare a vedere gli amici maschi il sabato sera, alla Rivetti, in Serie C o anche in Serie D. Oggi c’è il professionismo, gli stranieri. Fa effetto. Ma la passione è la stessa».
 
Rivetti. Sempre lì. Se parli di basket, a Biella, sempre con l’impianto di via Macallè devi fare i conti. «Ma certo. Ed è merito mio se giocano a basket, tutti quanti... Altro che storie - scherza Fabrizio, zio e primo tifoso di tutte le generazioni di Lai -. Io ero tra quelli che si arrampicavano su per le finestre a veder giocare Caglieris e gli altri. Ero lì a fare casino negli anni mitici della Prima Serie. Non dico che gli ho insegnato tutto, ma la passione gliel’ho trasmessa di sicuro io. E sugli spalti li ho sempre spronati e incoraggiati, questi irriconoscenti». Parole cui seguono battute e prese in giro.
 
Io, Tommaso. «Mio padre? E’ bravo. Se gioco male non mi dice niente, perché lo sa che sono il primo a soffrire se la squadra perde o se non ho reso al massimo - racconta il ragazzo, titolare dell’Under 15, allenata da Nicola Danna -. Se invece gioco bene, mi corregge, forse perché pensa che poi mi monto la testa. Ma non esagera. E anche se non l’ammetterò mai, spesso, ha pure ragione».
Eccola la famiglia Lai: dentro e fuori il rettangolo di gioco, che per molti è (e sempre sarà) un posto “magico”.
Paolo La Bua
labua@primabiella.it

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