Rondi (Confindustria): "La scuola guardi al lavoro del futuro"

Ripartire da un nuovo concetto di orientamento per creare una maggior sintonia fra istruzione e mondo del lavoro futuro. Ecco la sfida che chiama in causa tutti gli attori sociali, dalle imprese alle istituzioni politiche passando per la scuola: una sfida su cui si gioca gran parte del futuro dell’Italia e il rilancio del suo tessuto socio-produttivo.
Il tema, riassunto dal titolo ”Costruire il futuro: Education e lavoro” è stato al centro della relazione tenuta da Ermanno Rondi (foto a destra) a Rotary Club Biella, lunedì scorso. Rondi, coordinatore del Progetto Education del Club dei 15 (l’associazione che riunisce i distretti italiani caratterizzati da maggior reddito pro capite e maggior valore aggiunto industriale), membro del board Education di Confindustria e consigliere incaricato Uib per l’Education, è partito dalla situazione di fatto attuale costituita (dati Ocse elaborati dal Centro Studi Confindustria) da un panorama che vede in Italia una minor polarizzazione degli studenti verso la cultura tecnica rispetto a quanto accade in altri Paesi. «Il tutto - ha precisato Rondi - in un momento in cui il rilancio della cultura tecnica diventa invece un asset essenziale per costruire il futuro».
La situazione. Guardata con realismo, la situazione italiana postula quindi un intervento urgente di riposizionamento, considerato che, in un benchmarking Italia-Germania, l’incidenza dei tecnici sul totale degli occupati (tra il 1992 ed il 2007) ha visto una significativa confluenza: nel 1992, il differenziale era di 5,5 punti percentuali mentre oggi si è ridotto allo 0,4%. Il tutto, come ha aggiunto Ermanno Rondi, mentre in Italia si è purtroppo assistito ad un’inversione del trend di iscrizione tra istituti tecnici e licei: nel 1991, gli iscritti agli istituti tecnici erano il 46,6% degli studenti contro il 31,3% degli iscritti ai licei. Nel 2010, la percentuale di iscritti agli istituti tecnici è invece scesa al 41,5% mentre quella degli iscritti ai licei è salita al 33,5%. Senza contare che, anche a livello universitario, si è in presenza di questa crescente divaricazione tra scuola e lavoro: una divaricazione che, come ha sottolineato il consigliere del board Education di Confindustria, appare macroscopica se si guarda alla differenza tra il numero di laureati che le imprese intendevano assumere nel corso dell’anno 2010 rispetto ai laureati dell’anno precedente in relazione alle facoltà di provenienza. Ne emerge un quadro dove, ancora una volta, le facoltà che generano una domanda superiore all’offerta sono quelle di tipo scientifico (ingegneria in testa).
Formazione. «In verità - ha spiegato Rondi - molto di questa situazione ha le sue radici in un orientamento sbagliato che non sa rispondere a quesiti di fondo come quello relativo alle tendenze dello scenario occupazionale, economico e sociale; quello relativo ai macrotrends per il futuro e, infine, quello sull’allineamento tra il mercato del lavoro e la formazione».
Da un lato, l’individuo e, dall’altro, una comunità sempre più multietnica e posta davanti alle sfide dell’integrazione. «Ancora nel 2000 - ha detto infatti Rondi -, la società era caratterizzata da un’immigrazione contenuta, dal binomio individualismo-localismo, da strutture decisionali geograficamente definite, dall’innovazione materiale e da un mercato del lavoro vicinale. Guardando avanti, di fronte a noi si apre invece uno scenario sociale caratterizzato da alta immigrazione, da partecipazione sociale diffusa, da interdipendenza decisionale, da un’innovazione continua ed immateriale nonché da un mercato del lavoro flessibile. E’ in questo scenario, allora, che vanno rintracciate le direttrici per una formazione che faccia incontrare scuola e impresa, perché fenomeni in atto quali la democratizzazione dell’energia, l’immigrazione, l’innovazione e velocità della comunicazione postulano una formazione sempre più interculturale e ad alta capacità organizzativa».
Lavoro. Questo significa, in altre parole, che l’orientamento deve aver presente il lavoro che verrà e che l’Education deve cambiare il suo modello. «In un mondo del lavoro sempre più dicotomico e dove lo stesso ambiente di lavoro subirà cambiamenti profondi, la domanda delle aziende si polarizzerà sempre più su competenza tecnica, competenza manageriale ed ecclettismo relazionale, mentre le figure low profile, rappresentate dai lavoratori dequalificati ed interscambiabili, diventeranno anche area di potenziali conflitti sociali. Ma attenzione: questa situazione implica un approccio diverso nell’opera di Education che deve caratterizzarsi per il passaggio ad una didattica collaborativa e laboratoriale: occorre passare da una formazione tayloristica al learning by doing.. Una sfida soprattutto per i docenti, oggi ancora troppo “immigrati” digitali rispetto ai loro studenti che invece sono già dei “nativi” digitali. I docenti, ad ogni livello e grado, sono chiamati, insomma, a diventare dei community manager, dei progettisti didattici per la costruzione della conoscenza affinché la scuola sia capace di fornire una preparazione poliedrica che dia soprattutto metodo nell’apprendere e favorisca l’emersione di un processo di umanizzazione delle tecnologie capace di tradursi in un modello tecnico-umanistico. Un modello che trasmetta allo studente passione per la sfida basata sulla reale percezione di crescita della professionalità, capacità di negoziazione, di condivisione e di leadership: ciò di cui l’impresa, già oggi e ancor di più in futuro, ha davvero bisogno».
Giovanni Orso