Manifattura a rischio declino

Confindustria ha lanciato l’allarme. Il Rapporto del Centro Studi, presentato nei giorni scorsi, sottolinea come in Italia, dal 2001, si siano perse ben 120 mila fabbriche. Una cifra che sottolinea pesantemente il rischio di un declino industriale nel Paese e che trova corrispondenza anche nei dati territoriali.
Nel Biellese. Prendendo come anno base il 2001 (in analogia a quello del Rapporto Csc sugli “Scenari Industriali”), dall’esame della demografia delle imprese locali quale risulta dalle rilevazioni di Camera Commercio Biella, emerge infatti che nel Biellese, da quell’anno al 2013, le imprese registrate all’ente camerale sono passate da 20.435 a 19.177, con un calo pari a -6,15%. Negli stessi 12 anni, però, a ridursi in modo particolarmente consistente è stato proprio il manifatturiero locale. Le manifatture biellesi registrate, infatti, sono passate dalle 3.591 del 2001, alle 2.432 dello scorso anno. Tenendo conto che, nel 2007, è stato comunque introdotto il sistema di classificazione Ateco 2007 che ha comportato uno spostamento di codici da un settore ad un altro che rende difficile una comparazione esatta, è comunque possibile affermare che la riduzione sia stata nell’ordine delle 1.100 unità. La flessione ha caratterizzato specificatamente il manifatturiero tessile-abbigliamento. Se, nel 2001 le imprese biellesi del tessile-abbigliamento registrate alla Camera di Commercio erano infatti 1.232, a fine 2013 esse erano 1042: circa 190 realtà di settore non rispondono più all’appello.
Occupazione. I dati relativi al ridimensionamento del manifatturiero biellese trovano indiretta conferma in quelli circa il mercato del lavoro. Nel 2001, il Biellese era riuscito ad abbassare ulteriormente il proprio tasso di disoccupazione, portandolo a 2,7%. Oggi, i dati del mercato del lavoro biellese parlano un linguaggio ben diverso, con un tasso di disoccupazione locale 2013 pari a 9,5%. Non solo, ma gli ultimi dati disponibili dicono che dal 2009 al 2011, gli addetti nel tessile biellese sono passati da 12.511 a 11.344, e quelli del settore abbigliamento da 1.001 a 878.
Strategie. Ma come hanno reagito le piccole imprese manifatturiere di fronte alla crisi? Il Rapporto di Csc “Scenari Industriali” ha analizzato il problema, esaminando i mutamenti nel modello di business. In linea generale, la reazione è stata diversa a seconda dei settori merceologici: nei settori della meccanica, il modello di business è stato più costante che non nel settore dell’abbigliamento o della plastica, dove le imprese hanno più duttilmente adottato modelli nuovi. Nel comparto dell’abbigliamento, per esempio, è stato il downgrading (semplificazione) la strategia di cambiamento più comune, passata dal 10,5% al 18% del totale delle imprese. Ma ciò che emerge sono soprattutto due evidenze: da un lato, il fatto che le imprese che hanno optato per un cambiamento strategico-organizzativo hanno avuto maggiori possibilità di restare sul mercato; dall’altro, il fatto che il vantaggio del cambiamento di modello si è già manifestato soprattutto durante la fase di espansione precedente la crisi. Durante la crisi, la quota di imprese uscite dal mercato si è rivelata indipendente dai modelli adottati, a conferma che già durante la fase espansiva si è ampliato il divario tra chi ha saputo cambiare e chi, invece, ha insistito nello stesso assetto strategico-organizzativo.
Giovanni Orso