"Piattaforma tessile nazionale al via"

"Piattaforma tessile nazionale al via"
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È finalmente in dirittura d’arrivo la Piattaforma tessile italiana. Massimo Marchi (presidente di Po.in.tex, il polo italiano di innovazione tessile) ha scelto la X edizione di NanoItalTex Day, ieri a Città Studi, per dare ufficialmente l’annuncio della nascita del nuovo soggetto trasversale all’intero sistema tessile italiano che costituirà l’interfaccia naturale della Piattaforma Europea e che vede le sinergie di Smi, TexClubTec ed Euratex.

L’evento. Organizzato da TexClubTec (l’associazione che ha come scopo la promozione del tessile tecnico e che raccoglie una novantina di aziende del settore), Po.In.Tex e Uib nonché con Intesa Sanpaolo come official partner, il convegno di ieri a Città Studi ha costituito l’occasione per fare il punto sui numeri, i trends e le opportunità del tessile tecnico, all’insegna del tema “Innovazione e crescita”. Il viceministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, non potendo essere presente come da programma, ha tuttavia inviato un indirizzo di saluto (letto da Massimo Marchi) in cui ha sottolineato l’estrema vitalità del manifatturiero tessile. Biella e la location di Città Studi, inoltre,  non sono state casuali perché, come sottolineato da Andrea Parodi (TexClubTec) in apertura dei lavori, proprio Biella costituisce il «cuore del tessile italiano». Parodi ha ricordato come il tessile tecnico rappresenti oggi nell’Ue il 30% del fatturato totale del settore tessile, con un valore di circa 30  miliardi, sia composto da 15 mila imprese e dia lavoro a 300 mila addetti.

Il settore. Un settore che, per definizione, significa innovazione. E Aldo Tempesti (TexClubTec) ha, infatti, ricordato come, nel 2013, proprio il tessile tecnico sia cresciuto del 2,5% e rappresenti il 27% della produzione tessile mondiale. In particolare, sul mercato mondiale, la quota Ue di tessile tecnico è del 20% per quanto concerne i tessuti tecnici, del 25% per i non tessuti e del 33% per i composti: tre specialità che hanno registrato, nell’ultimo anno, un ritmo di crescita rispettivamente del +3%, +6,9% e +6%. Non solo, ma misurata dal 2000, la  crescita è stata addirittura del 60% per i non tessuti e del 75% per i compositi. Un settore, insomma, che corre e che in Italia, generando un fatturato di 3,5 miliardi e con quota di incidenza sul tessile complessivo pari all’8%, ha ampi spazi di sviluppo. Ma questo sviluppo, come ha giustamente sottolineato Tempesti, postula due cose: saper guardare l’evoluzione dei mercati e accelerare sul trasferimento tecnologico dalla ricerca al business. «Il tessile tecnico - ha detto Tempesti - può rappresentare un driver della nuova rivoluzione industriale che ha ormai come scenario il mondo». Del resto, in Cina, nel 2013, la produzione e l’export di tessile tecnico sono aumentati rispettivamente dell’11,9% e dell’8,4%. Non solo: l’India ha massicciamente investito sulla creazione di  circa 30 parchi tecnologici e stima una crescita annua di comparto del 20%, arrivando nel 2017 ad una produzione stimabile intorno ai 36 milioni di dollari. Un contesto che pone quindi sfide  importanti, tra cui quella della sostenibilità ambientale. Anzi, sotto questo profilo, secondo Filippo Servalli (RadiciGroup) la sostenibilità nella produzione rappresenterà il differenziale nel modello di business del tessile italiano ed europeo.

Opportunità. Ma come sfruttare veramente gli spazi di crescita che il tessile tecnico italiano può avere? Qui, l’attenzione va focalizzata su un modello che renda velocissimo il trasferimento dei risultati della ricerca scientifica e accademica al mondo delle imprese. Un problema affrontato da Alberto Cigada (Politecnico di Milano) e da Marco Cantamessa (Politecnico di Torino). Per entrambi i docenti, esiste un gap di sistema che rende difficoltoso tale trasferimento, un po’ come se si fosse in presenza di un ponte interrotto a metà campata. In un modello sano - come detto da Alberto Cigada - l’Università dovrebbe favorire spinn off accademici e l’industria start up innovative senza vincolo di profitto immediato. I numeri, dicono che questo è un orizzonte ancora lontano. Come ricordato da  Marco Cantamessa, al 10 novembre 2014, sono infatti solo 2.862 le start up innovative in Italia («Una piccola radura nella giungla» ha detto Cantamessa), mentre i dati dell’Incubatore Imprese del Poli di Torino sottolineano che su 300 mila progetti innovativi, solo 90 diventano business plan che danno luogo a una quindicina di nuove imprese ogni anno.
Centralissimo, in questo processo di “costruzione del ponte” è quindi l’investimento in formazione, cultura, capitale umano, come ricordato da Luca Paolazzi (Centro Studi Confindustria) che ha riproposto la ricerca “People First” presentata a Bari, nel marzo scorso, in occasione del Convegno Biennale di Confindustria. Paolazzi ha ricordato l’ancora troppo bassa percentuale di laureati in Italia e l’ancora troppo basso investimento di famiglie e istituzioni pubbliche in  formazione. Eppure, l’equazione che esce da “People First” è proprio quella del più istruzione = più Pil. «La prima vera politica industriale - ha concluso Paolazzi - è questo investimento in istruzione e formazione. L’aumento in 10 anni del grado di istruzione italiano a livello dei Paesi più avanzati, innalzerebbe il Pil sino al 15% in termini reali cioè a 234 miliardi».

Tavola rotonda. La decima edizione di NanoItalTex ha poi visto, nel pomeriggio, una sessione dedicata a casi aziendali di successo nel settore tessile tecnico.. Il convegno è stato chiuso da una tavola rotonda (coordinata dal direttore di Eco, Roberto Azzoni) che ha visto l’introduzione di Luciano Fratocchi (Università dell’Aquila) e gli interventi di Andrea Parodi (Fil Man made Group) e Gianfranco De Martini (De Martini Spa).
Giovanni Orso

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