Quel silenzio che non consola, ma aiuta

Il dolore di una madre e di un padre amputati della loro ragione di vita non lo vincono le parole. Le lacrime che rigano il loro volto non possono essere fermate dai vocaboli umani. Per quanto sentiti, sinceri, veri, non sono sufficienti a consolare davvero. Davanti all’atrocità di un male così acuto resta una sola speranza. Credere, confidare nel fatto che un domani, forse, con calma, il dolore si trasformerà in qualcosa di diverso. Non svanirà, ma prenderà una sua direzione, un senso, in grado magari di orientare di nuovo la vita verso qualcosa di meno straziante del nulla. E se c’è un modo, alla fine, per aiutare questo difficile percorso, certamente non è la parola. Molto più, lo è il silenzio.
Davanti al dramma delle famiglie di Alberto Bonato ed Elena Bazzano, mezza vita in due, volati via con Graziano Cecchini in uno scontro tra le loro moto, anche il vescovo Gabriele Mana, lunedì, nel corso dei funerali officiati in una chiesa di San Giorgio incapace di accogliere tutti i presenti, ha sentito di rivolgere questo messaggio. «Facciamo silenzio». In un mondo sopraffatto dalle voci, l’immensa folla di quattro Comuni listati a lutto è stata letteralmente zittita dalle parole del Monsignore, e invitata ad assumere un atteggiamento nuovo. «Non chiedetevi perché di tutto questo. Un motivo non c’è. Iniziate piuttosto a pensare a ciò che questa immensa tragedia ci ha insegnato, che cosa ci ha voluto dire». Parole difficili da tradurre in pratica. Perché trovare una risposta, così a caldo, resta apparentemente impossibile. Ma che forse, lasciando scorrere un po’ di tempo, potranno far germogliare riflessioni guaritrici, se è vero - come ha detto il Vescovo - che interrogandosi sulla morte a volte si possono trovare risposte per affrontare la vita.
E’ stata la giornata più difficile, lunedì, dopo quel devastante sabato di due settimane fa. Non solo per le famiglie, che a lungo hanno dovuto attendere il momento del saluto per via dei tempi delle autopsie, ma per la Valsessera intera. Una terra ormai da tempo squarciata nella sua serenità, che pure ha voluto esserci. Unita e in massa. Lunedì mattina innanzitutto, nel piccolo cimitero di Masseranga di Portula, per l’ultimo ciao a “Cecco”: una cerimonia ricca di amici e motociclisti, aperta dal corteo che proprio in moto ha accompagnato Graziano sin dall’ospedale di Biella. Poi, lunedì pomeriggio, nella chiesa di San Giorgio, per gli altri due addii. Due bare chiare, adagiate una accanto all’altra, sovrastate dalle foto di Alberto ed Elena, e dalle quali in pochi sono riusciti a staccare lo sguardo durante la cerimonia. Centinaia e centinaia le persone che hanno stretto i genitori di Elena, Anna e Marco, e il fratello Gabriele, uniti mano nella mano a guidare il corteo che dalla loro casa di via Roma ha accompagnato Elena nel suo ultimo passaggio tra le case di Coggiola. E altrettante, tantissime, le persone che hanno pianto con Stefania, Sandro e Davide, la mamma, il papà e il fratello di Alberto, frastornati da tanto dolore e pure capaci di ricambiare con uno sguardo, una parola ai saluti di tutti. Davanti a tutti loro, don Carlo Borrione, don Claudio Maggia, il vescovo Mana, i quattro sindaci in rappresentanza di Coggiola, Pray, Trivero e Portula listate a lutto. E poi un intero paese sull’attenti, nel silenzio quasi surreale delle saracinesce abbassate, dei rumori vietati, delle attività sospese. Gesti di semplice rispetto verso una tragedia che non doveva succedere. Ma che, come l’amica Carolina ha detto al termine della celebrazione, forte davanti alle lacrime che reclamavano spazio, «in fondo non cambierà nulla. Perché siamo sempre gli stessi di prima». Solo lontani fisicamente.
Veronica Balocco