A spasso per il mare con in canna un tonno gigantesco
Un amico mi ha mostrato un video di un pescatore in kayak alle prese con un enorme squalo e mi ha chiesto cosa ne pensassi: «Pazzo o eroe?». Di sicuro un grande, anche se, nello specifico, era circondato da almeno un paio di barche appoggio. Così, in un grave momento di difficoltà col kayak che si è ribaltato, gli amici lo hanno aiutato a risalire sul suo destriero cavalca onde per continuare l’incredibile battuta di pesca. La canna era legata saldamente al piccolo ma inaffondabile natante che ha fatto da enorme galleggiante. Alla fine lo squalo ha ceduto, è affiorato, gigantesco, stravolto. A me è successo di combattere contro un mostro dei mari. Non era uno squalo - per fortuna - ma un enorme tonno, di certo sui 150/200 chili, forse di più, chi può dirlo. Impossibile, in kayak, catturare da soli un simile Tir dei mari, senza aiuto di barche-appoggio. O forse sarebbe bastata un pizzico di esperienza in più. Un amico-campione, Gianluca Aramini, ne ha catturato uno, di tonno, senza l’aiuto di nessuno, sui cento chili. Un altro grandissimo pescatore, uno dei migliori al mondo. Quella che vi sto per raccontare non è una boutade, ma una di quelle avventure che ti rimangono per sempre nella mente e nel cuore. E a ripensarci fanno ancora salire un brivido freddo lungo la schiena. Era estate. Il tramonto stupendo del mare corso aveva da poco lasciato spazio al buio. Restavano solo le luci del porticciolo, quella dell’ecoscandaglio, piccolo e insostituibile amico, e quella della lampada frontale. L’aguglia nel portavivo era vispa, in carne, prometteva bene. Pagaiavo sui venti metri di profondità nella speranza di incocciare in un barracuda a caccia. Non c’era nessuno intorno. Ad un certo punto il rumore inconfondibile della frizione mi ha risvegliato dal sopore. C’era il pesce in canna. «Un barracuda», ho pensato, ingenuo. Da quel giorno ho imparato che ad ogni cattura, prima di ferrare, è importante piazzare la prua del kayak verso il punto di fuga del pesce. Fosse anche una balena non potrebbe far altro che trainare il plasticone a spasso per il mare. Quella sera non lo feci. Dopotutto pensavo fosse un pesce di taglia molto inferiore. Per chi se ne intende, l’attrezzatura era così composta: canna stand-up da 20-30 libbre, mulinello super da 20 libbre. Lenza madre da 100 libbre, spezzone di fluorocarbon di 15 metri del migliore, dello 0,70, un amo trainante del 3/0, uno pescante del 5/0. Tutto inutile. Al momento della ferrata mi era parso d’essermi attaccato dietro a un motoscafo da quanto quell’animale tirasse. Un mostro, una forza della natura in grado di trainare un kayak di cinque metri di traverso con yaker in groppa a una velocità impensabile. In grado di mandare in tilt una frizione potentissima, di stancare allo sfinimento braccia possenti, di cacciare fuori dalla bobina 450 metri di filo in un amen e di drizzare - per fortuna, a pochi metri di filo prima del ribaltamento e della canna strappata dalle mani - due ami così robusti. Con girella da 100 libbre con anellini ovalizzati. E’ stata una di quelle avventure di pochi secondi che non si possono dimenticare. Rimasi per ore pallido come un cencio. In Italia, da quel giorno, gli allora ancora pochi pescatori in kayak (ora sono centinaia e centinaia) impararono una cosa fondamentale: da quella loro inseparabile barchetta si poteva agganciare qualsiasi pesce.
Valter Caneparo
Nella foto, Gianluca Aramini, campione a livello mondiale di pesca in kayak, con un tonno sui cento e passa chili
Un amico mi ha mostrato un video di un pescatore in kayak alle prese con un enorme squalo e mi ha chiesto cosa ne pensassi: «Pazzo o eroe?». Di sicuro un grande, anche se, nello specifico, era circondato da almeno un paio di barche appoggio. Così, in un grave momento di difficoltà col kayak che si è ribaltato, gli amici lo hanno aiutato a risalire sul suo destriero cavalca onde per continuare l’incredibile battuta di pesca. La canna era legata saldamente al piccolo ma inaffondabile natante che ha fatto da enorme galleggiante. Alla fine lo squalo ha ceduto, è affiorato, gigantesco, stravolto. A me è successo di combattere contro un mostro dei mari. Non era uno squalo - per fortuna - ma un enorme tonno, di certo sui 150/200 chili, forse di più, chi può dirlo. Impossibile, in kayak, catturare da soli un simile Tir dei mari, senza aiuto di barche-appoggio. O forse sarebbe bastata un pizzico di esperienza in più. Un amico-campione, Gianluca Aramini, ne ha catturato uno, di tonno, senza l’aiuto di nessuno, sui cento chili. Un altro grandissimo pescatore, uno dei migliori al mondo. Quella che vi sto per raccontare non è una boutade, ma una di quelle avventure che ti rimangono per sempre nella mente e nel cuore. E a ripensarci fanno ancora salire un brivido freddo lungo la schiena. Era estate. Il tramonto stupendo del mare corso aveva da poco lasciato spazio al buio. Restavano solo le luci del porticciolo, quella dell’ecoscandaglio, piccolo e insostituibile amico, e quella della lampada frontale. L’aguglia nel portavivo era vispa, in carne, prometteva bene. Pagaiavo sui venti metri di profondità nella speranza di incocciare in un barracuda a caccia. Non c’era nessuno intorno. Ad un certo punto il rumore inconfondibile della frizione mi ha risvegliato dal sopore. C’era il pesce in canna. «Un barracuda», ho pensato, ingenuo. Da quel giorno ho imparato che ad ogni cattura, prima di ferrare, è importante piazzare la prua del kayak verso il punto di fuga del pesce. Fosse anche una balena non potrebbe far altro che trainare il plasticone a spasso per il mare. Quella sera non lo feci. Dopotutto pensavo fosse un pesce di taglia molto inferiore. Per chi se ne intende, l’attrezzatura era così composta: canna stand-up da 20-30 libbre, mulinello super da 20 libbre. Lenza madre da 100 libbre, spezzone di fluorocarbon di 15 metri del migliore, dello 0,70, un amo trainante del 3/0, uno pescante del 5/0. Tutto inutile. Al momento della ferrata mi era parso d’essermi attaccato dietro a un motoscafo da quanto quell’animale tirasse. Un mostro, una forza della natura in grado di trainare un kayak di cinque metri di traverso con yaker in groppa a una velocità impensabile. In grado di mandare in tilt una frizione potentissima, di stancare allo sfinimento braccia possenti, di cacciare fuori dalla bobina 450 metri di filo in un amen e di drizzare - per fortuna, a pochi metri di filo prima del ribaltamento e della canna strappata dalle mani - due ami così robusti. Con girella da 100 libbre con anellini ovalizzati. E’ stata una di quelle avventure di pochi secondi che non si possono dimenticare. Rimasi per ore pallido come un cencio. In Italia, da quel giorno, gli allora ancora pochi pescatori in kayak (ora sono centinaia e centinaia) impararono una cosa fondamentale: da quella loro inseparabile barchetta si poteva agganciare qualsiasi pesce.
Valter Caneparo
Nella foto, Gianluca Aramini, campione a livello mondiale di pesca in kayak, con un tonno sui cento e passa chili