Un prete 31enne e un esponente delle Forze dell'ordine arrestati per pedopornografia
Tre in manette e 29 indagati nell'inchiesta della Polizia Postale di Torino, partita dal Piemonte e allargatasi in tutta Italia. Telegram il veicolo
Ci sono un prete e un esponente delle Forze dell'Ordine tra gli arrestati (tre, oltre a 29 indagati) in una maxi inchiesta della Polizia Postale che - grazie a un suo infiltrato - ha svelato una rete di pedofili online che si scambiavano contenuti via Telegram. L'inchiesta è partita dal Piemonte e si è estesa in tutta Italia
Trentatrè decreti di perquisizione, tre arresti
Da ieri mattina la Polizia di Stato è impegnata in tutta Italia, con il coordinamento del Servizio Polizia Postale e per la Sicurezza Cibernetica, nell’esecuzione di 33 decreti di perquisizione delegati dalla Procura della Repubblica di Torino nell’ambito dell’operazione di contrasto alla pedopornografia online “La Croix”.
Si sottolinea inoltre che gli indagati hanno diversa età, condizione lavorativa, ubicazione geografica: professionisti, operai, studenti. Tra gli arrestati, residenti rispettivamente nel milanese, cagliaritano e beneventano, figurano anche un appartenente alle forze dell’ordine e un prelato. In particolare il prete è molto giovane, ha 31 anni e opera a Sant'Agata de' Goti, nella provincia di Benevento. Inizialmente ai domiciliari, interrogato dal Gip ha respinto le accuse e ha ottenuto la libertà con l'obbligo di firma.
Indagini partite oltre sei mesi fa
Le indagini del Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica di Torino, da oltre 6 mesi svolte anche in modalità sotto copertura, in stretto raccordo con la competente Autorità Giudiziaria, sono stati individuati numerosi soggetti dediti alla divulgazione e pubblicizzazione di materiale realizzato mediante sfruttamento di minori online.
Un soggetto (indagato perché anche lui interessato a materiale pedopornografico) si era assunto il ruolo di "giustiziere"
"In particolare l’indagine si è concentrata sull’attività di un utente che, comunque interessato al procacciamento di materiale pedopornografico - spiegano dalla Polizia Postale - pubblicava su gruppi ristretti informazioni e tracce informatiche carpite nell’interazione con altre identità virtuali, di fatto svolgendo l’improbabile ruolo di “giustiziere”.
Gli utenti coinvolti nello scambio di materiale pedopornografico, grazie al rispetto di accorgimenti tecnici volti al mantenimento dell’anonimato, disponevano di contenuti illeciti di diversa natura, talvolta anche ritraenti vere e proprie violenze sessuali, e “chattavano” con molta discrezione per sondare la reciprocità di interesse alle tematiche di abuso sessuale, utilizzando linguaggi “in codice”.
Un sistema sofisticato per identificare i 33 pedofili finiti nella reste
"La capillare attività di indagine - prosegue la nota della Postale - è stata determinata dal fondamentale accreditamento all’interno della rete di contatti dell’ignoto giustiziere; successivamente, una volta ottenuti i dati informatici esposti in rete sui soggetti d’interesse, gli accertamenti condotti dagli investigatori cibernetici hanno valorizzato tutte le tracce informatiche esposte per l’identificazione dei 33 utenti coinvolti, di fatto ripercorrendo in rewind la cronologia delle interazioni in rete del loro contatto principale.
Ecco le città coinvolte nella rete di pedofili
Nella fase strettamente operativa sono stati coinvolti gli omologhi Uffici di Polizia Postale di Roma, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Cagliari, Palermo, Catania, Bari, Venezia e Trieste, che hanno curato l’esecuzione congiunta dei provvedimenti emessi dall’Autorità Giudiziaria.
Il riscontro di casi di detenzione di materiale da parte di giovani e giovanissimi conferma inoltre il rischioso avvicinamento delle nuove generazioni alla materia, certamente favorito dall’evoluzione tecnologica nell’uso di piattaforme peer to peer, come quella oggetto di indagine; da qui l’impegno della Polizia Postale sul piano della prevenzione rispetto a quelle forme di dipendenza dall’uso dello smartphone nell’effettuazione di questo tipo di ricerche di materiale, talvolta anche cruento da parte degli utenti, che vede una totale spersonalizzazione della vittima primaria dello sfruttamento.
Nell’indagine le perquisizioni personali, locali e sui sistemi informatici, emesse dalla Procura Distrettuale di Torino, hanno portato al sequestro di telefonini, tablet, hard disk, pen drive, computer e account di email e profili social. Durante le perquisizioni sono stati altresì rinvenuti gli account utilizzati dagli indagati per la richiesta del materiale pedopornografico, ed in taluni casi ingente quantitativo di materiale illecito custodito sui supporti informatici sottoposti a sequestro, che saranno oggetto di successivi accertamenti, considerato che il procedimento versa nello stato delle indagini preliminari e i soggetti indagati devono considerarsi non colpevoli sino al passaggio in giudicato di eventuali provvedimenti giudiziari a loro carico.