Intervista

Il maestro Maurizio Feggi, 7° dan: "Io, salvato dal karate"

L'intervista a Maurizio Feggi: "Mi allontanai dalla compagnia sbagliata di amici per fare sport"

Il maestro Maurizio Feggi, 7° dan: "Io, salvato dal karate"
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L’arte marziale del karate è uno stile di vita che il maestro Maurizio Feggi ha portato avanti con disciplina e passione. Abilità e virtù che oggi gli vengono riconosciute all’unanimità dalla Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali che gli ha attribuito, con “motu proprio” del presidente Domenico Falcone, la cintura 7° Dan, un privilegio riservato a pochi. «Il conferimento attribuito - si legge nella lettera ufficiale - rappresenta il più alto e prestigioso riconoscimento sportivo e corona ed onora, nella maniera più degna, la Sua lunga militanza sportiva e la Sua dedizione verso il Karate italiano».

L'intervista a Maurizio Feggi

Classe 1957, papà di Valeria e Alessandro, marito di Milena Biollino, ex campionessa iridata di ritmica da sempre al suo fianco: «un pezzo di cintura è anche sua» ammette Maurizio Feggi, che oltre all’attività della sua Ippon 2 Biella affianca anche quelle di membro della commissione nazionale attività giovanile Fijlkam - che ha il delicato compito di impartire le linee direttive per l’allenamento delle giovani leve del karate - e quella di direttore tecnico regionale senior. In più c’è anche l’attività nelle scuole: «Portiamo avanti come associazione Ippon 2 il progetto Muse ad Olimpia nelle elementari grazie alla Fondazione Crb. Ora si ricomincia dopola pausa delle festività con una scuola di Mongrando ed una di Biella».

Sport a scuola. Cosa cambia tra l’insegnare karate a scuola e nella sua palestra?

«Il mio approccio con i ragazzi. In palestra vengono perché hanno deciso loro di venire, quando vai nelle scuole, invece, ti trovi una classe dove ci sono ragazzini che sono obbligati a seguire la lezione. Perciò come tecnico devo modificare il mio modo di lavorare e l’esperienza diventa importantissima. Devi fare un lavoro accessibile a tutti e che possa essere comprensibile. Nello stesso tempo, devi far capire alle insegnanti qual è il fine dello sport che tu stai presentando. Io cerco di lavorare moltissimo sull’intelligenza motoria ovvero far ragionare i ragazzi mentre lavorano, farli pensare, farli risolvere problemi. Penso sia la base di moltissimi sport, ma anche la base per la crescita dei ragazzi, dobbiamo educarli a pensare, a ragionare e prendere decisioni».

C’è un trucco per accattivarsi le simpatie di un alunno?

«Devi amare quello che fai. E ho anche la fortuna di avere al mio fianco Thomas Taglioretti, allenatore formatosi con me, anche laureato in scienze motorie, che mi aiuta in palestra e nel progetto».

Cintura bianca e rossa, settimo dan. Per i profani del karate potrebbe sembrare il riconoscimento di un karateka che “mena” fortissimo. Invece non è così.

«Questo riconoscimento concessomi dalla Federazione mi ha riempito di felicità, soprattutto per le motivazioni. La sento anche come una grande responsabilità a fare sempre meglio in palestra tutti i giorni, per il Comitato regionale e per la Federazione. Da quando sono entrato la prima volta in palestra, ho capito che quando ti annodi la cintura all’addome la devi onorare ed è quello che cerco di passare ai miei ragazzi. Dico loro: voi siete delle persone ma dovete anche rappresentare quello che siete e quello che fate e dovete onorare quello che fate. Sul fatto che più dan hai più sei violento, ecco... assolutamente non è così. La vera essenza delle arti marziali è quella di vincere senza combattere. Non c’è bisogno di litigare, perlomeno a me non è mai successo. Mi ha sempre colpito questo detto: tu preferiresti avere un guerriero che lavora in giardino o un giardiniere che va in guerra? Ecco, noi dobbiamo essere dei guerrieri che lavorano nel giardino. Evitare gli scontri è un’arte».

In pochi anni è cambiato il mondo degli adolescenti. Qual è la sua esperienza quotidiana con loro?

«Il mondo è cambiato e sono cambiati anche i ragazzi. Non molto tempo fa per apprezzare un cambiamento in loro, occorrevano quattro o cinque anni, oggi invece cambiano molto più in fretta. Io mi impegno molto con loro perché voglio che si diano più da fare. C’è un motto delle arti marziali che dice “compi ogni cosa che fai come fosse l’ultima della tua vita”. Mi rendo conto invece che nel pensiero di alcuni viene da dire “se è l’ultima, allora chi se ne frega?”. Invece la devi onorare, ripeto. Cerco di insistere sul concetto che nella vita, qualsiasi cosa dobbiate fare, dal lavoro più semplice al lavoro più complesso dovete diventare bravi, esprimere voi stessi al meglio».

Restando agli adolescenti, in ambito femminile ha cercato in passato di diffondere il karate come difesa personale. Oggi più che mai una necessità, considerati i tragici fatti di cronaca.

«Con il moltiplicarsi degli impegni quei corsi mirati non sono più attivi, mentre ci sono quelli da adulti in palestra, ma ho notato che anche per le mamme è difficile riuscire a ritagliarsi nel quotidiano un momento da dedicare a loro stesse. In compenso, però, sono molte le ragazze che frequentano la palestra con profitto e impegno. La cosa importante è acquisire sicurezza e credere in loro stesse, l’essere fiduciose in ciò che possono ottenere impegnandosi».

L’incontro tra Maurizio Feggi e il karate com’è avvenuto?

«É una cosa che racconto sempre ai miei ragazzi. Ho scelto di andare in palestra perché la compagnia che frequentavo all’inizio degli anni ‘70, primi concerti rock a Milano, prime trasferte, non mi piaceva. Avevo bisogno di avere qualcos’altro da fare. Ho iniziato ad andare in palestra tutte le sere alla Ippon Biella del maestro Vittorio Beloli, il primo ad insegnare a Biella. Poi c’è stato il maestro Francesco Salerno per diversi anni, fino a quando non ho iniziato a lavorare da solo, seguendo da vicino il maestro Pier Luigi Aschieri, direttore tecnico della nazionale per molti anni. A fine dicembre sono stato chiamato come esaminatore nella commissione che assegnava i quarti e quinti dan e lì mi sono reso conto di averne fatta di strada da allora, è stato bello».

Ecco svelato il 2 nella Ippon Biella...

«Siamo nati come succursale della Ippon e negli anni non ho mai voluto cambiare il nome perchè sono orgoglioso del percorso che ho fatto. Oggi siamo in questa splendida struttura pensata per noi dai fratelli Lunghi, ma ricordo ancora la mia palestra “di campagna” a Vigliano Biellese da dove siamo partiti. Questi spazi sono per i miei ragazzi come una seconda casa, una seconda famiglia. Vengono qui, possono anche fermarsi a studiare. E poi ho l’abitudine di continuare a tesserare anche chi per esigenze di lavoro e studio ad un certo punto deve separarsi dal karate quotidiano. Appena possono, tornano a salutare e se vogliono si cambiano per allenarsi con noi».

Ultima curiosità: i suoi vecchi amici anni ‘70 che fine hanno fatto?

«Non ci sono più. Per loro la vita è stata molto breve. Io lo dico ai ragazzi in palestra: la vita ci mette davanti a delle scelte, fondamentale è farle ragionando con la propria testa, anche parlando con qualcuno di cui hai fiducia. Io ne sono l’esempio».
Gabriele Pinna

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