Elisabetta Valentini, icona tra le top model anni '80: "La moda? La amo ancora"
Nuova edizione per il suo “Fotomodella” trentacinque anni dopo. Presenterà il libro domani al festival ContemporaneA.
Nuova edizione per il suo “Fotomodella” trentacinque anni dopo. Presenterà il libro domani al festival ContemporaneA.
Il festival
Elisabetta Valentini (nella foto) ha solo sedici anni quando la sua vita cambia. Da timida studentessa di Firenze diventa una modella di fama internazionale e, nel 1988, pubblica per la serie “Mouse to Mouse”, curata da Pier Vittorio Tondelli, “Fotomodella”, che racconta in prima persona il periodo storico in cui nasce il fenomeno delle “top model”. Trentacinque anni dopo, è il 2023, “Fotomodella” torna in libreria con la nuova casa editrice Accento, fondata da Alessandro Cattelan e diretta da Matteo B. Bianchi.
Valentini - poi diventata fotografa, giornalista e film-maker - sarà presente a “ContemporaneA”, per parlare del libro, domani domenica, alle 17, a Palazzo Ferrero. Ecco cosa racconta di sé a “Eco di Biella”.
Un libro in una nuova edizione dopo 35 anni: era rivoluzionario allora, oggi è moderno. Come mai?
«Che non fosse passato di moda me ne sono accorta quando Matteo B. Bianchi mi ha contattata per la riedizione e io l’ho riletto, a distanza di anni, e sì, ho visto che è libro non solo attuale, ma attualissimo, che ha la capacità di parlare alle nuove generazione. All’epoca una modella che scriveva era qualcosa di oltraggioso, oggi sono felice che “Fotomodella” abbia trovato una nuova casa con Accento. Non me l’aspettavo ed è stata una cosa miracolosa, mi ha dato conferma che bisogna continuare a perseguire i propri sogni».
Icona tra le top model, ci racconta come è stata scoperta?
«Quella era l’epoca dei grandi stilisti e delle grandi top model, che ha preceduto l’epoca molto diversa degli anni ’90. Allora, avevo sedici anni e la necessità di essere indipendente e, per esserlo, dovevo lavorare. Lo scopo nella mia vita era la responsabilità e l’indipendenza. Studiavo, però mi dedicavo anche a una serie di lavori leggeri e transitori, finché un giorno mentre aspettavo di vendere un’enciclopedia ed ero davanti al portone di Emilio Pucci, ho deciso di tentare una telefonica ardita... Mi hanno presa subito».
Com’era la moda di allora? E com’era visto il corpo?
«Il sistema moda è cambiato, tutto si è velocizzato ed esposto. Allora c’era la scoperta: da Pucci sono andata a Milano e ho trovato Armani, Ferrè, Valentino, i grandi agli inizi della loro carriera e, in quegli anni, si è fatto il prêt-à-porter. Era un mondo di scoperta inconsapevole di stare vivendo un nascente periodo, estetico ed economico. Quanto al corpo, rimane alla base di tutto: si annulla in un certo senso per essere addomesticato in altro modo, c’è una limatura della posizione, del gesto e dell’avvenenza che questo lavoro insegna profondamente. Anche perché le modelle di quel periodo erano chiamate a essere interpreti, non si era oggetto bensì interpreti di una idea e di una visione, del segno stilistico. Dopo quel decennio, è stata un’altra storia con un tipo di modella che portava se stessa abbinata al brand».
La vita l’ha portata lontano, ma segue ancora la moda?
«Certo, mi piace molto la moda. Io penso a quello spezzone della mia vita come a una bolla meravigliosa, che rivista tempo dopo mi fa rendere conto di quanto sono stata fortunata, in termini di indipendenza, crescita, scoperta... Milano, Barcellona, New York, Parigi dai 16 ai 26 anni. L’ho sempre vissuta come esperienza, come dedicarsi a una disciplina. Per questo, ho poi avuto lo sguardo per raccontarlo e per lasciare il lavoro prima che altri lo decidessero per me. Amo la moda, vado alle sfilate e ho un agente a Parigi, perché mi hanno chiesto di fare da testimonial old age. Sa, i sessant’anni hanno potere d’acquisto, non si è più vecchi. E poi essere donne vuol dire comprendere tutte le età, siamo una matrioska».
Dove sta, per lei, la bellezza ?
«Non è scontato essere consapevoli della propria bellezza. Allora c’erano le insicurezze, io ero una bellezza usata per lavorare, sotto giudizio, ma era la stessa insicurezza che si prova a dover superare una qualsiasi prova. Una cosa che ho scoperto è che la bellezza non è tanto fisica, ma ciò che rimane negli occhi, nello sguardo che davo al mondo nei reportage. E questo sguardo d’amore ci è stato dato da nostra madre, è lo sguardo di nostra madre su di noi».
Giovanna Boglietti