Francesca Giannone: «Era l’ultima volontà di Anna. Non essere dimenticata»
La scrittrice, in vetta alle classifiche e Premio Bancarella 2023 con "La portalettere", domani sarà al festival ContemporaneA.
La scrittrice, in vetta alle classifiche e Premio Bancarella 2023 con "La portalettere", domani sarà al festival ContemporaneA.
Il festival
Va a ruba. E resta saldo in classifica tra i libri più venduti in Italia. Quest’estate, poi, ha regalato alla casa editrice Nord un raro successo: la vittoria, due volte consecutive, del prestigioso “Premio Bancarella”. A precederlo, nel 2022, “L'inverno dei Leoni” di Stefania Auci. Parliamo, per chi non l’avesse capito, de “La portalettere”, romanzo storico e di formazione, esordio sfolgorante del 2023, di Francesca Giannone (nella foto). Opera che, sull’onda di questo alto gradimento, diventerà anche un film, dal momento che i i diritti sono stati acquisiti dalla Lotus Production.
L’incontro
Francesca Giannone è, senza dubbio, uno dei più attesi tra gli ospiti in arrivo in città per il festival “ContemporaneA. Parole e storie di donne”. Il pubblico biellese potrà assistere alla presentazione del suo libro domani - domenica 24 settembre - alle 17.45, a Palazzo Ferrero.
“Eco di Biella” l’ha intervistata in anteprima, scoprendo che con “La portalettere” - romanzo che racconta la storia della sua bisnonna, Anna Allavena, scesa in Puglia con il marito Carlo, finanziere, dalla Liguria negli anni ‘30 e presto salita in sella a una bici con indosso i pantaloni per consegnare la missiva in un paese chiamato Lizzanello - Francesca Giannone ha mantenuto una promessa: far sì che quella bisnonna, libera e rivoluzionaria, non venisse dimenticata.
Del suo libro parlano tutti. Come vive questo successo? Se l’aspettava?
«Devo ammettere che un’esordiente, al suo primo romanzo, difficilmente riesce a immaginare che possa succedere una cosa del genere. Eppure, è un accaduto davvero. Un successo da cui mi sono sentita travolta all’inizio, che mi ha anche un po’ scombussolata, ma che nello stesso tempo mi ha fatto sentire addosso una valanga di affetto, prima da parte dei librai e poi delle lettrici e dei lettori. A quel punto, ho capito la forza di questa storia, che smuove qualcosa nelle persone e ha dato il via a un passaparola che non accenna a fermarsi. È tutto straordinario, magico».
Questa è una storia familiare, la riguarda. Cosa significa per lei l’omaggio alla bisnonna?
«La soddisfazione più grande. Perché era una promessa che la bisnonna aveva strappato a mia mamma, prima di morire: “Fai in modo che io non venga dimenticata”. E io, da bisnipote, ho raccolto questa raccomandazione e ho cercato di mantenerla, affinché venisse omaggiata per qualcosa che nessuno le avevo riconosciuto, cioè una piccola rivoluzione nella sua esistenza. Io dovevo raccontare la sua storia e far sapere che Anna Allavena è esistita. Ci sono tante storie come questa che hanno cambiato le cose e aspettano di essere raccontate. La misura di questo me lo danno tante giovani che mi scrivono: “Anna è per me fonte di ispirazione, mi ha dato coraggio a fare quel passo o a credere in me stessa” ed è strabiliante come una donna degli anni ‘30 parli alle giovani di oggi».
E come ha parlato a lei? Cioè quando ha deciso di scrivere questa storia?
«Il primo impatto è stato emozionale: ho trovato il suo biglietto da visita (Anna Allavena, portalettere Lizzanello, Lecce), usanza insolita in quegli anni, e mi sono intenerita moltissimo. Con il biglietto, c’erano fotografie, lettere private, cartoline e messaggi d’amore; quindi, ho fatto ricerche su questa donna, partendo dai racconti dei suoi nipoti, mia mamma e i suoi fratelli, e di chi si ricordava di lei. Mi hanno raccontato tante cose e una parte del paese, invece, l’ha “scoperta” per la prima volta».
Ma come è diventata portalettere, Anna?
«L’istruzione ha fatto la differenza. Anna era una donna acculturata, faceva la maestra elementare in Liguria. Ha vinto un concorso delle Regie Poste, meritocratico. Rispetto agli uomini candidati era l’unica a possedere quel livello di titolo di studio.
Sono partita dalle foto e dalle lettere che lei ha scritto di suo pugno, in qualche modo la sua voce l’ho ascoltata. Era una donna fiera, che girava in pantaloni e sosteneva lo sguardo, stava sempre accanto - non dietro - al marito, lui seduto e lei in piedi con una mano sulla sua spalla. Ha precorso i tempi e sembra incredibile avesse, allora, una mentalità del genere».
Una forestiera e un mestiere, in più insolito. Il marito e la famiglia cosa ne pensavano?
«Anna era molto innamorata del marito, a lei piaceva amare Carlo e la famiglia, ma voleva anche realizzare se stessa fuori dall’ambiente domestico. Non pensava che una cosa escludesse l’altra e non potesse scegliere. Carlo si lasciò condizionare all’inizio su quel che la gente poteva pensare, era un “figlio del Sud” d’altronde e tornando subì un po’ una sorta di “involuzione”. All’inizio, la ostacolava, ma Anna rispondeva: “È un problema tuo”, e Carlo giocoforza la amava proprio per questo».
Resterà sempre la forestiera, laggiù, com’era arrivata?
«Il marchio da forestiera, dopo cinquant’anni in un paese dove è entrata nelle case di tutti e ha scritto lettere per loro venendo anche a conoscenza dei loro segreti, resta. Anna rimaneva la forestiera, “non sei una di noi”. E lei da una parte rivendicava la sua diversità, dall’altra credo ci abbia sofferto, perché lei abbracciava la comunità, era il posto in cui cresceva suo figlio, in fondo desiderava essere accettata. Ma, in qualche modo, questo incontro tra il paese e Anna cambiò il paese e un po’ lei. C’è stato».
E Francesca Giannone è cambiata, scrivendo questo libro?
«È stato un dialogo preziosissimo, nel momento in cui ho ricostruito la personalità di Anna e la sua vita, ha visto tracce di lei in me, come fossero nel Dna delle donne della mia famiglia. Mi ha reso orgogliosa e fiera».
Ha in serbo una nuova storia?
«Sì, sono già al lavoro al secondo romanzo. Non sarà il seguito, ma un’altra storia».
Giovanna Boglietti